Anno nuovo, vecchie cattive abitudini. A pochi giorni dall’indigesta notizia circa lo scandaloso trattamento riservato ad un gruppo di giovani affetti da sindrome di Down da una famiglia laziale nel vibonese, è giunto un altro amarissimo boccone altrettanto difficile da mandare giù.
“A Roma certe cose non accadono“, avevano sentenziato i componenti di quell’impietoso nucleo familiare apostrofando come un’esperienza nauseabonda quella di consumare una pizza in un locale calabrese al fianco di un gruppo di ragazzi down, come se essere umani sia quasi da considerarsi un reato da pena capitale. Potremmo considerare quella frase odiosa quasi come una profezia, se consideriamo il terribile episodio avvenuto a ridosso del Capodanno appena trascorso a Ferentino, località in provincia di Frosinone.
“Non accettiamo autistici”
Da Filadelfia a Frosinone, la musica purtroppo non cambia: a variare sono solo i protagonisti e la location dell’ennesima dimostrazione che, per una buona fetta di popolazione italiana, non siamo tutti uguali. A balzare agli “onori” della cronaca l’hotel e SPA “Terme di Pompeo-Fontana Olente” di Ferentino, i cui gestori hanno rispedito al mittente senza troppi fronzoli un’importante prenotazione adducendo pretesti lesivi non solo per le vittime di questo “forfait”, ma per chiunque abbia sviluppato nella propria vita un minimo di coscienza civile. Erano ben dodici le famiglie che avevano deciso di trascorrere la serata di Capodanno presso la struttura laziale. Una dozzina di famiglie provenienti da ogni parte dello Stivale, legate tra loro da una particolarità delicata, ma gestibile: essere genitori di ragazzi affetti da autismo, di età compresa tra i 12 ed i 18 anni. Un vero e proprio tabù, almeno per il direttore dell’hotel, che dopo essere venuto a conoscenza di questo importante “dettaglio” ha deciso di sospendere la maxi prenotazione, adducendo delle scuse a dir poco grottesche. “Voi dovete mettervi nei miei panni, io ho il dovere di garantire tranquillità e relax per i nostri clienti. Se volete possiamo organizzare un fine settimana e vi do’ tutta la struttura“, ha chiosato il gestore in una telefonata al padre di uno degli adolescenti diffusa via web dalle principali testate giornalistiche. Poche parole, taglienti come un coltello, giunte dritte alle orecchie e al cuore dell’uomo che ha deciso, assieme alle altre famiglie, di denunciare questo gravissimo episodio di discriminazione. I parenti dei ragazzi hanno così deciso di affidare i loro sentimenti ad un lungo post su Facebook: “Noi cerchiamo di condividere la nostra normalità. Quella normalità che però tanto stride, quando si parla di disabilità. Quella normalità che non è solo un desiderio, ma è e deve essere un diritto“, chiosano i familiari dei ragazzi affetti da autismo, rifiutati dall’hotel nello stesso modo con cui si mette alla porta un cane (fatto, questo, altrettanto grave considerando l’inciviltà di molti “normodotati” registrata in molte strutture recettive italiane e non solo).
Integrazione a singhiozzo
Appena la notizia dell’episodio discriminatorio ai danni di questi teenager speciali è diventata di pubblico dominio, le bacheche dei principali social network si sono intasate di commenti che hanno condannato l’atteggiamento del direttore della struttura di Ferentino, che, se possibile, ha gettato ulteriore benzina sul fuoco con le sue dichiarazioni alla stampa. “Ho chiesto consiglio anche ai miei collaboratori e non me la sono sentita – ha candidamente ammesso l’uomo – Dobbiamo pensare anche agli altri ospiti. Qui si fanno i botti e cosa ne so come reagiscono i ragazzi autistici“. E dopo aver sottolineato che il Capodanno era per i genitori dei giovani, ha concluso così la sua inutile arringa auto-difensiva: “Capirà, è una realtà e sono persone che non conosco. Ho avuto paura e ho dovuto pensare alla struttura. Se non fosse stato così, pecunia non olet. Pagavano come gli altri…“.
Parole prive di buonsenso e, soprattutto, di empatia, che hanno suscitato sdegno nella maggior parte degli internauti. “Gli riempirei l’albergo di immigrati a spese sue per 10 anni“, chiosa un internauta mettendo in luce la differenza di trattamento riservata agli immigrati, in netto contrasto con la disumanità mostrata a questi ragazzi. Taglia corto un altro utente: “L’albergatore di Ferentino vada a quel paese!“. Argomentazione più dettagliata è quella di una ragazza che sottolinea come spesso “I danni a cose negli alberghi siano provocati da star famose e viziate con dietro il codazzo di leccapiedi, mai sentito di danni provocati da autistici. PS: ho un nipote autistico, lavoro con e per loro e so di cosa parlo“.
Il rovescio della medaglia
In mezzo a tanti post solidali nei confronti delle famiglie dei giovani autistici ne emergono, però, alcuni che invitano a lasciare cadere quello che viene definito il “velo di ipocrisia” che spesso nasconde le reali problematiche sociali portate, a detta di tali persone, da ogni genere di disabilità. “Quante polemiche per nulla – scrive un utente – L’albergo non aveva una zona riservata per questi ragazzi così speciali e difficili. Così difficile da comprendere?“. Viene da chiedersi in cosa consista questa fantomatica “area riservata” destinata ad un paziente affetto da autismo; non sono pochi, inoltre, le accuse all’indirizzo, incredibile ma vero, dei genitori dei ragazzi speciali. “Posso capire l’amarezza e la frustrazione delle famiglie, ma i fatti NON sono andati come descritto dalle famiglie su FB“, scrive una ragazza, alla quale fa eco un’altra internauta: “Qui non stiamo parlando di gestire un bambino autistico, ma 10. Sapete di che cosa si tratta?“. L’ironia della vicenda risiede nel fatto che nessuno dei genitori aveva mai chiesto al personale dell’hotel nel frusinate di gestire i propri figli, né aveva preteso un trattamento di favore. Le famiglie chiedevano solo di festeggiare un “normale” Capodanno, partecipando ad un veglione come chiunque altro, brindando all’inizio del nuovo anno come una “normalissima” comitiva di amici. Un’impresa, a quanto pare, impossibile da portare a casa per questi “eroi ordinari“, da lodare semplicemente per come affrontano, giorno dopo giorno, le barriere architettoniche emotive e culturali erette da persone che temono, come al solito, ciò che non conoscono.