Sul grande schermo fu replicante, eroe innamorato, bevitore incallito in cerca di redenzione. La sua fisicità, i suoi occhi magnetici, i capelli biondi lo resero icona indiscussa del cinema degli anni Ottanta, ma la sua popolarità è rimasta pressoché intatta anche ai giorni nostri. Ci ha lasciati troppo presto l’attore olandese Rutger Hauer, morto lo scorso 19 luglio (la notizia del suo decesso è stata però resa nota solo il 24) all’età di 75 anni. Era purtroppo malato il “gigante gentile“, così soprannominato con affetto da Ridley Scott che lo ha diretto nel fortunatissimo blockbuster fantascientifico “Blade Runner“, caposaldo di una carriera costellata di successi e di piccoli momenti di stallo. “Ho visto cose…“. Correva l’anno 1982 quando Hauer, fresco di debutto l’anno precedente ne “I falchi della notte” al fianco di Sylvester Stallone, fu scritturato da Scott per il celeberrimo “Blade Runner“. La sua prestanza fisica ed il suo sguardo di ghiaccio lo resero antagonista ideale del cacciatore di taglie Rick Deckard, impersonato da un’allora giovanissimo Harrison Ford. L’interprete olandese ottenne il ruolo del replicante Roy Batty, leader di sei esseri sintetici dalle capacità sovrumane che cercano di sopravvivere in una distopica Los Angeles nell’anno 2019.
Un futuro, quello raccontato in “Blade Runner”, ben lontano dal nostro odierno 2019 e reso con maestria impeccabile dal monologo finale, intenso, addirittura leggendario, enunciato proprio dal compianto Hauer. “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione; e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire“.
Potremmo ritenerlo un vero e proprio testamento artistico dell’attore, che negli anni successivi divenne una star richiestissima non solo negli Studios, ma anche nel suo Continente, quell’Europa che contribuì a lanciarlo nell’Olimpo della Settima Arte prima del suo esordio negli USA.
“Ladyhawke” e il sodalizio con Olmi
Rutger Hauer fu diretto da veri e propri giganti del cinema, che in cambio ricevettero dal compianto attore olandese delle performance indimenticabili. E’ del 1985 la sua interpretazione da sogno in “Ladyhawke“, pellicola fantasy in cui vestiva i panni di un ex capitano della Guardia francese innamorato della bella Isabeau (Michelle Pfeiffer); i due bellissimi protagonisti, oltre a far sognare migliaia di fan estasiate, cercavano di liberarsi di una strana maledizione che li voleva “Sempre insieme, eternamente divisi“. Tre anni dopo, fu il nostro Ermanno Olmi a regalarci un inedito lato artistico ed umano di Hauer che, ne “La leggenda del santo bevitore“, si libera dei panni di eroe (o anti-eroe) cool per immedesimarsi nella mistica e al contempo miserabile esperienza di vita dell’ex minatore senzatetto Andreas Kartack. Un sodalizio artistico, quello tra il cineasta italiano e l’attore olandese, che si trasformò in una sincera stima ed amicizia durata sino alla morte di Olmi, avvenuta nel maggio dello scorso anno.
L’impegno sociale
Lavoratore instancabile, Rutger Hauer – la cui esperienza di vita era davvero simile alla trama di un film di caduta e rinascita dalle ceneri (a 15 anni si imbarcò su una nave mercantile e per studiare recitazione si mantenne con vari lavori, da elettricista a guida alpina) – che fino all’ultimo non smise di recitare, comparendo anche in pellicole a basso budget ed in serie televisive. Nel 2011 fu nuovamente diretto dall’amico Olmi (ne “Il villaggio di cartone“) e nel 2018 prese parte al film del francese Jacques Audiard “I fratelli Sisters“. Sex Symbol nei favolosi Eighties, Hauer si sposò per “sole” due volte. Sua figlia, nata dal primo matrimonio, lo ha reso nonno. Rutger Hauer pubblicò anche un’autobiografia (“All Those Moments: Stories of Heroes, Villains, Replicants, and Blade Runners“, scritta con Patrick Quinlan e data alle stampe nel 2007). Impegnato attivamente anche nel sociale, l’attore olandese sposò con entusiasmo le cause ambientaliste e fondò la “Rutger Hauer Starfish Association“, ente che si occupa della tutela dei malati di tutto il mondo e della ricerca sull’AIDS. Una vita piena, vissuta dal replicante dal cuore d’oro con estrema forza d’animo ed umiltà.