Due film ambientati a Napoli: entrambi carini, entrambi così così, entrambi ricolmi di cliché campani e cinematografici: al decimo giorno del Rome Film Fest, abbiamo scelto per voi il debutto italiano di James Franco in Hey Joe e l’opera prima Ciao, bambino di Edgardo Pistone.

“Hey Joe”, come ti racconto la prevedibilità

Diretto da Claudio Giovannesi e selezionato per il segmento “Grand Public“, Hey Joe si premura di essere (cito testualmente la scheda della brochure) “solido, costruito come un melodramma a forte sfondo sociale“: benissimo, la solidità ci starebbe anche tutta, lo sfondo sociale onestamente un po’ meno, trattandosi infatti di una sagra di luoghi comuni partenopei molto, ma molto prevedibili, per giunta ambientati cinquant’anni fa, perciò ricostruiti, leccatissimi e fasulli. Trama: 1971, Dean Barry, veterano della seconda guerra mondiale abitante nel New Jersey, riceve con molto ritardo un telegramma dall’Italia che lo informa che la donna che aveva amato a Napoli durante il periodo bellico è morta ed il figlio nato da quella relazione, Enzo, lo vorrebbe conoscere. Dean giunge in Italia per incontrare il giovane, ma non sarà tutto rose e fiori.
Praticamente, è un remake di Maccheroni di Ettore Scola, con James Franco al posto di Jack Lemmon (la scaletta narrativa è identica, differisce solo in alcuni passaggi e nel finale amarognolo); Franco (bravo e parlante un discreto italiano non doppiato) si cala con convinzione nel solito ruolo dell’americano che si ritrova a muoversi in una realtà popolare lontana anni luce dal suo modo di vivere ed in cui gradualmente, complice l’affetto per il figlio ritrovato, se ne lascia assimilare fino a ritrovarsi anche nei guai. Sa inoltre infondere una qualche verità ad un personaggio altrimenti stereotipato recitando con misurazione e tenendo a bada il suo famoso istrionismo.
Non ci si annoia mai è questo è un bene, ma i pregi finiscono qui: nonostante le buone capacità del resto del cast (su tutti, Francesco Di Napoli, interprete delle serie tv La paranza dei bambini e Romulus), attorno al protagonista c’è solo una Napoli di maniera fatta di vicoli, contrabbando, prostituzione, spaccio, femminielli, camorra e l’immancabile e prevedibile sparatoria. Il film sarà distribuito nelle sale a partire dal prossimo 28 novembre.

“Ciao, bambino”: Pasolini wannabe

L’opera prima (chi ha seguito gli altri miei articoli sulla Festa del Cinema sa già come la penso) di Edgardo Pistone è il suo debutto nel lungometraggio dopo l’acclamato corto Le mosche ed anche quel genere di pellicola pregna dei consueti manierismi da film d’esordio e cinema d’antan. Ovviamente, è candidato anche alla Miglior Opera Prima all’interno del Film Fest, presentato nella categoria “Freestyle“. Trama: Napoli, rione Traiano; l’esistenza del diciassettenne Attilio si conduce tra incontri con gli amici, interminabili giornate al bar e piccoli reati. Quando viene incaricato di sorvegliare una giovane prostituta dell’Est, Anastasia, se ne innamora illudendosi di poter abbandonare il degrado in cui languisce.
Devo proprio utilizzare l’aggettivo che mi ronza in mente? Ok. Pedante. Sì, è proprio una pedante imitazione di Pasolini nella forma e nei contenuti: l’impedimento a restare liberi e mantenere la giovinezza pulita in certi ambienti che ingabbiano corpi ed emozioni, l’innocenza violata, le fughe impossibili, le facce proletarie e un bel bianco e nero polveroso fotografato da Rosario Cammarota. In mezzo abbiamo il solito rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con monologhi contro la corruzione dei grandi, ragionamenti su una qualche forma di candore grezzo insito negli adolescenti e la critica verso un contesto ineluttabilmente votato al marcio e alla delinquenza, in cui tutto si riduce a sogni disperati e fare la cosa giusta può costare molto caro, mentre gli omicidi sono semplici dettagli in mezzo a panoramiche d’abbandono ed incuria, tra canzoni anni ’60 e musica lirica (più pasoliniano di così…).
Tutto gradevole, per carità, girato ed interpretato con mestiere, tuttavia si esce dalla sala con l’impressione di aver assistito a qualcosa di stranoto, per giunta ammuffito. Dispiace, ma è così.