A San Ferdinando, i Carabinieri con il supporto dei militari specializzati del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Reggio Calabria, nell’arco di servizi finalizzati a prevenire e reprimere illeciti nell’ambito del fenomeno del cosiddetto “caporalato”, hanno denunciato il proprietario di un’azienda agricola e applicato nei suoi confronti una sanzione amministrativa per “lavoro in nero” pari ad euro 3.600. In particolare, a seguito di verifica ispettiva presso l’impresa, gli uomini dell’Arma hanno identificato nove braccianti agricoli di origine africana, riscontrando da ulteriori accertamenti irregolarità per “lavoro in nero” e che alcuni di essi non erano in possesso delle previste certificazioni mediche obbligatorie.
L’attenzione sul fenomeno del caporalato da parte dell’Arma dei Carabinieri rimane elevata, specialmente in questi periodi dove è necessaria numerosa manodopera per la raccolta di agrumi ed olive.
Già un’indagine condotta dai carabinieri di Gioia Tauro fino all’inizio del 2020 aveva portato all’esecuzione di 29 misure cautelari, alcune delle quali in carcere, nei confronti di caporali e titolari di imprese agricole. Nello specifico, l’attività aveva permesso di comprovare l’esistenza di una vera e propria rete di caporali, composta da cittadini extracomunitari di origine centroafricana, domiciliati presso la baraccopoli di San Ferdinando e nel Comune di Rosarno, che, in concorso con i titolari di aziende agricole e cooperative operanti nel settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro, erano dediti prevalentemente alle attività di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai danni di braccianti agricoli extracomunitari, oltre che alla commissione di reati quali il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione di donne africane e la detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo marijuana.
Locride: truffa per ottenere i buoni spesa Covid-19
I militari della Compagnia Carabinieri di Bianco hanno deferito in stato di libertà, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri, diretta dal Procuratore Luigi D’Alessio, 135 soggetti residenti nella Locride, in particolare sulla costa jonica, ritenuti responsabili di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
I provvedimenti in questione scaturiscono da una sistematica attività d’indagine, convenzionalmente denominata Tantalo – dal nome del personaggio della mitologia greca, il cui supplizio consiste nell’avere perennemente una fame e una sete impossibili da placare – è stata avviata e condotta durante tutto il periodo del primo lockdown (da aprile a giugno 2020), a seguito degli aiuti straordinari introdotti dal Governo per il periodo di emergenza sanitaria (cosiddetti “buoni spesa covid-19”). I buoni alimentari, come noto, sono stati erogati direttamente dai Comuni alle persone e alle famiglie in difficoltà economica, per acquistare alimenti, farmaci e altri beni di prima necessità. Ciascun Comune, poi, ha avuto la possibilità di scegliere in autonomia i requisiti per la concessione del bonus, garantendo somme variabili a seconda di vari indici di valutazione e attribuendo priorità a chi non riceveva altri sostegni economici pubblici. L’operazione è nata dall’impulso delle Stazioni Carabinieri della Compagnia di Bianco, veri e propri presidi sul territorio, che in quei giorni, nel corso delle normali pattuglie quotidiane, hanno recepito le lamentele e la disperazione di alcuni cittadini, riguardanti presunte irregolarità nella concessione dei buoni alimentari.
Le indagini, di natura tradizionale e documentale, hanno consentito di accertare che gli indagati si sarebbero procurati, senza averne titolo, un ingiusto profitto derivante dalla indebita percezione dei cosiddetti “buoni spesa covid-19”. In particolare, gli accertamenti effettuati dai militari della Compagnia di Bianco hanno consentito di verificare che i soggetti che hanno aderito ai rispettivi bandi comunali hanno dichiarato informazioni non corrispondenti al vero, sostenendo in generale di trovarsi in condizioni di difficoltà economica e di indigenza, nel tentativo di indurre in errore le amministrazioni comunali e ottenere così un ingiusto profitto.
Le informazioni fornite non correttamente vanno dalla falsa attestazione sulla residenza e sull’indicazione dei componenti del nucleo familiare – l’elargizione era connessa anche all’effettivo stato di bisogno della famiglia – all’omessa o falsa indicazione di ricevere, nel medesimo periodo, altri sussidi sociali (indennità di disoccupazione, periodi retribuiti di malattia dei c.d. “braccianti agricoli”, pensioni di invalidità, l’indennità di maternità e lo stesso reddito di cittadinanza) che, superata una certa soglia, non avrebbe consentito l’ottenimento del buono alimentare.
Nel dettaglio, i Carabinieri hanno provveduto dapprima all’individuazione di tutti i soggetti presentanti, presso i rispettivi comuni di residenza, la domanda per ottenere il buono spesa (quasi 900 le domande giunte ai Comuni di Africo, Bianco, Brancaleone, Bruzzano, Caraffa del Bianco, Casignana, Ferruzzano, Palizzi, Samo, San Luca, Sant’Agata del Bianco e Staiti). Successivamente, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Locri, i militari dell’Arma hanno analizzato la documentazione e le autodichiarazioni presentate, accedendo anche all’interno delle abitazioni dei soggetti interessati, al fine di accertare la veridicità di quanto sottoscritto. Infine, i Carabinieri hanno approfondito, con l’ausilio dell’INPS, degli istituti di credito e delle Banche Dati in uso alle Forze di Polizia, la posizione economica degli interessati, ottenendo una conferma dei sospetti iniziali. I 135 soggetti sono stati pertanto deferiti in stato di libertà, per aver presentato ai Comuni domande in cui hanno attestato falsamente di possedere i requisiti previsti, al fine di ottenere indebitamente i buoni alimentari (il cui valore, per ogni soggetto, in media oscilla tra gli 80 e i 200 euro). “Il dato di fatto” fanno sapere dalla Compagnia di Bianco “è che circa un terzo degli odierni indagati risulta avere legami di parentela con soggetti appartenenti a ‘ndrine o a famiglie di interesse operativo”. Degli indagati, infine, oltre la metà risiede nel Comune di San Luca. Tra loro, anche un sorvegliato speciale di Pubblica Sicurezza, già percettore del reddito di cittadinanza, nonché la sorella di un uomo tuttora latitante, che nello stesso mese in cui ha percepito il “buono spesa covid-19” ha anche sottoscritto buoni fruttiferi per il valore di 7.000 euro. Le denunce sono ora al vaglio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri, e stanno seguendo il loro corso: tutte tranne dieci, che sono archiviate (sette per tenuità del fatto, tre “perché il fatto non sussiste”).
L’indagine è stata possibile grazie ad una attenta analisi documentale, corroborata da una profonda conoscenza, da parte dei Carabinieri, del territorio e delle comunità, in risposta al grido di aiuto di tutti coloro che sono stati seriamente colpiti dalle conseguenze del lockdown. I militari dell’Arma hanno stimato che le somme indebitamente percepite hanno comportato un danno erariale pari a oltre 21.000 (ventunomila) euro.I controlli sui percettori di bonus, sussidi e buoni spesa continueranno in tutta la provincia di Reggio Calabria, con l’obiettivo di tutelare, difendere e promuovere la giustizia sociale anche nell’ambito di elargizioni economiche pubbliche.
Operazione “Jobless Money 2” contro l’appropriazione indebita del reddito di cittadinanza
A Gioia Tauro e Rosarno, i Carabinieri, con il supporto specialistico dei militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro, a seguito di attenta attività d’indagine nell’ambito dell’operazione denominata “Jobless Money 2”, hanno effettuato diversi controlli finalizzati a riscontrare i percettori irregolari del reddito di cittadinanza, riscontrando il coinvolgimento di 50 soggetti.
Diverse sono state le anomalie emerse dagli accertamenti espletati sui soggetti percettori, gran parte dei quali familiari diretti di elementi di spicco della cosca di ‘ndrangheta Bellocco – Pesce di Rosarno. Tra questi figurano non solo soggetti già condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso e figure apicali della ‘ndrangheta del mandamento Tirrenico, ma anche donne che, intenzionalmente, avevano omesso di segnalare agli enti competenti all’erogazione del reddito di cittadinanza la presenza all’interno del proprio nucleo familiare di soggetti detenuti, già elementi di spicco della locale consorteria di ‘ndrangheta, gravati da misure cautelari personali ovvero condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Altre difformità emerse hanno inoltre riguardato false attestazioni riguardo la residenza e l’effettivo “reddito familiare”, dei componenti dell’intero nucleo familiare, come riscontrato da alcuni casi di madre e figlia o di zia e nipote che nonostante conviventi, percepivano distintamente il reddito di cittadinanza. Il totale delle irregolarità riscontrate ha stimato un danno erariale complessivo di circa 357.000 euro, scongiurando, per il tratto a venire, un ulteriore perdita di circa 127.000 euro, somme che i percettori avrebbero altrimenti incassato senza la mirata attività d’indagine posta in essere dai militari dell’Arma.
Gli esiti delle indagini sono stati immediatamente segnalati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palmi, richiedendo il nulla osta all’interruzione dell’elargizione del sussidio per i 50 soggetti deferiti a piede libero dai militari dell’Arma. La presente attività d’indagine segue ad analogo accertamento segnalato all’Autorità Giudiziaria, sempre a seguito di accertamenti condotti dai militari di Gioia Tauro, nel mese di giugno 2020, che aveva determinato il deferimento di altri 37 soggetti, come irregolari percettori del sussidio statale. Entrambe le attività hanno consentito il deferimento da parte dei Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, nell’anno corrente, di 87 illeciti percettori del reddito di cittadinanza, per un danno erariale complessivo quantificato in circa un milione di euro tra somme indebitamente percepite e risparmi ottenuti con la sospensione del beneficio.
Si tratta, in definitiva, di attività che, nelle diverse fasi, hanno permesso di interrompere, ancora una volta, l’indebita percezione di sussidi pubblici, sempre nell’intento di porre le basi per l’affermazione di una giustizia sociale molto spesso compromessa dalle logiche mafiose.