Riflessione di Antonella Postorino
Architetto, Scenografa, Conservatore dei beni architettonici e ambientali e candidata per FdI alle prossime elezioni comunali
Da diverse settimane si sente parlare dell’installazione dell’artista lombardo Edoardo Tresoldi, prima annunciata attraverso la stampa e oggi visibile, in fase di realizzazione, sul lungomare di Reggio Calabria. Il progetto artistico, denominato “Opera”, afferente al settore “Cultura e Turismo” dell’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, è stato finanziato con il “Patto per lo sviluppo della Città Metropolitana”, per un importo di 939,400,00 euro.
L’installazione si articola nella posa in opera di 46 colonne metalliche, alte 8 metri, in un’area della Via Marina che, definita “parco”, misura circa 2500 mq. Stimolata da una serie di commenti galoppanti sui social, ieri mattina mi sono recata in visita al cantiere dell’opera in discussione, prima ancora di esprimere il mio pensiero. Senza entrare nel merito alla valenza artistica, mi sento, invece, in dovere di formulare una personale riflessione in merito alla valenza paesaggistica, oltre che opportunistica, legata allo sviluppo culturale e turistico della nostra città.
Il mio ruolo mi impone principalmente un quesito tecnico: mi chiedo, infatti, se prima di stendere l’idea progettuale, sia stato fatto il sopralluogo dell’area o se il disegno, adatto a mille altri contesti ambientali, sia stato semplicemente “calato” su un’area scelta “a caso” (o magari “ad hoc” affinché avesse la sua opportuna visibilità elettorale), senza valutare lo stato dei luoghi. Il progetto, infatti, prevede che l’installazione sia fruibile dai visitatori, ma alcune colonne sono state impiantate nel vialetto pedonale, altre sulla rotonda panoramica, esattamente nei punti in cui solitamente i fruitori dell’area compiono il loro percorso obbligato. A questo c’è da aggiungere che il rivestimento in pietra del vialetto è stato demolito per consentire la realizzazione delle fondazioni in cemento armato, necessarie per ancorare ogni colonna al terreno. Segnale che l’installazione, tra le altre cose, sarà permanente, quindi un’eventuale differente destinazione comporterebbe ulteriori costi. La stranezza è che se fosse stato previsto un progetto dell’area pedonale in funzione di tale fruibilità, questo sarebbe stato tracciato prima della posa in opera delle colonne, e, al contempo, non si tratterebbe più di progetto di esclusiva finalità artistica, bensì di una trasformazione dello stato dei luoghi che entra in un’altra tipologia progettuale, per la quale si richiedono specifiche competenze sul piano tecnico e professionale (a firma non di artisti, ma di architetti o urbanisti).
Eppure il progetto ha ottenuto tutti i pareri in termini vincolistici, altra stranezza considerando che i gazebi del lungomare basso, invisibili dalla passeggiata alta, siano rimasti sequestrati per anni impedendone il completamento e l’apertura al pubblico, anzi ne fu fatta una guerra senza precedenti.
Qualora nella cifra di 939,400,00 euro dovessero rientrare anche le opere accessorie relative alla trasformazione dello stato dei luoghi, mi chiedo se l’amministrazione non avesse dovuto valutare meglio come spendere questa cifra, magari posizionando un numero inferiore di colonne in un’area da riqualificare, per esempio l’area degradata del tempietto, piuttosto facendo rientrare nel progetto una pavimentazione artistica (utile e necessaria) strettamente legata ai temi della Magna Grecia, oppure riposizionando reperti archeologici “autentici” oggi conservati nei seminterrati del Museo.
Certamente con quella cifra avrebbero potuto scendere in campo numerosi artisti e architetti locali, che attraverso questa opportunità avrebbero potuto iniziare a riscattare il loro talento, troppo spesso offerto in forma gratuita alla città. In un’ottica di valorizzazione del patrimonio paesaggistico e ambientale, in stretta sinergia con l’Accademia di Belle Arti, il Conservatorio di Musica, la facoltà di Architettura senza escludere i laboratori artistici attivi sul territorio, si sarebbe dovuta creare una rete di opportunità per i giovani, non molto più giovani di Tresoldi, attivando concorsi di idee per dotarsi di un “parco progetti artistici” molto più contestualizzati e di qualità. Insomma, invece di 46 colonne tutte uguali avremmo potuto tappezzare Reggio di installazioni, non solo sul lungomare, ma in ogni angolo della città, costringendo tutti a respirare cultura.
Mi auguro che quanto da me illustrato sia stato, preventivamente, preso in considerazione e piuttosto bocciato, pensando che quella di Tresoldi non sia il capriccio legato al “gusto personale” di qualcuno, bensì la scelta maturata da un tavolo tecnico composto da membri competenti, così come mi auguro che questa scelta sia stata condivisa con le categorie dei professionisti reggini. Allo stesso modo sono curiosa di sapere in che termini sia stato affidato l’incarico di progettazione, vista la portata del finanziamento, e con quale formula i cittadini siano stati coinvolti in una scelta partecipata e condivisa. E’ mio dovere di tecnico e soprattutto di cittadino pormi tanti quesiti, perché non posso dimenticare che questa stessa amministrazione sia l’artefice dell’annullamento di progetti già finanziati e cantierabili, come il Museo del Mare di Zaha Hadid, la fiera di Arghillà dello Studio Gregotti e gli arredi del corso Garibaldi, progettati dell’architetto e designer reggino, di fama internazionale, Stefano Trapani, questi ultimi equiparabili a installazioni che sintetizzano utilità, durata e bellezza (enunciati del dettato Vitruviano che ogni architetto e artista dovrebbe conservare nel suo dna).
Non posso dimenticare che i nostri siti archeologici, abbandonati all’incuria e alla sporcizia, urlano vendetta e che qualche scheletro non si sia ribaltato dentro la sua tomba chiedendo giustizia. Io mi auguro che questa riflessione personale possa trovare riscontro, certa che il vero “Patto” destinato a Reggio debba coinvolgere pienamente tutte le sue risorse, culturali, paesaggistiche e soprattutto umane.