In esclusiva per “A Punta di Penna“, l’intervista ad Annamaria Franco, nipote del leader della Rivolta di Reggio Calabria Ciccio, responsabile del Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” e presidente del Coordinamento per il 50° anniversario dei Moti.
- Piccola introduzione: chi è la signora Annamaria Franco?
Una persona cordiale, tenace, appassionata, trasparente. Amo gli animali, la natura, l’arte e la mia Città. Detesto il qualunquismo, chi non ama il gioco di squadra e coloro che si lamentano di tutto ma non si adoperano per cambiare lo stato delle cose.
- Un pensiero per i 50 anni della Rivolta: cosa rappresentò e rappresenta tuttora per lei?
Negli anni della rivolta frequentavo la prima elementare ed allora per me, che avevo da poco perso mio padre, la rivolta rappresentava solo l’impedimento che mi teneva lontano da mio zio. Con gli anni ho attraversato momenti alterni. Durante il periodo in cui frequentavo gli ambienti di sinistra, poco più che un’adolescente, la mia lettura dei Moti era sporcata da pregiudizi di ogni genere. Col tempo ho messo insieme, come in un puzzle, i racconti della gente che l’aveva vissuta direttamente, i racconti della mia famiglia, l’analisi dei documenti storici. Ringrazio mio zio per avermi dato la possibilità di crearmi un’idea personale dei fatti accaduti a Reggio Calabria negli anni ’70. La rivolta di quegli anni, oggi, rappresenta per me un chiaro esempio della forza del popolo che, quando si stringe unito intorno a un ideale, consegue risultati inaspettatamente rilevanti. Un popolo finalmente saggio che orgogliosamente antepone gli interessi della propria terra agli interessi personali con l’intento di costruire un futuro migliore per le generazioni future. E ne scrive la Storia.
- Parliamo dell’uomo Ciccio Franco: com’era nel privato?
Mio zio era prima di tutto un uomo buono e generoso. Soffriva nel vedere chi soffriva e si adoperava, per quanto fosse nelle sue possibilità, per alleviarne le conseguenziali angosce. Fuori dalla vita politica amava leggere, scrivere, rilassarsi a casa con sua moglie, mia zia Elsa, e con i suoi familiari.
- E con voi nipoti?
Esigente e protettivo. Non ha mai utilizzato la sua posizione per farci percorrere un cammino in discesa. Al contrario, io e i miei fratelli abbiamo dovuto lavorare sodo per dimostrare quanto valessimo come persone e non come nipoti di Ciccio Franco. E’ stata per noi una figura tanto amata quanto ingombrante. Comunque, ha costituito lo stimolo per fare sempre meglio, a testa alta e con le mani pulite.
- Cosa avrebbe pensato dell’attuale situazione socio-politica reggina?
Avrebbe levato, come sempre, la sua voce per scuotere le coscienze. Avrebbe denunciato il decadimento a cui stiamo assistendo. Anzi, avrebbe certamente impedito che arrivassimo a tali livelli di abbandono, incuria, prepotenza. Si è adoperato tutta la vita per costruire, con l’aiuto di tutti, una Reggio più bella di quanto non fosse e per restituire dignità ai suoi concittadini vessati da continue espoliazioni.
- Cosa rappresentano i Boia chi molla, se lei dovesse essere un’ipotetica osservatrice esterna?
Persone innamorate della propria terra e disposte a mettersi in gioco per difendere i propri ideali. L’anima e il cuore della rivolta del ’70.
- Suo zio fu intervistato da diversi nomi importanti del giornalismo italiano: lui rimase soddisfatto dell’incontro che ebbe con la Fallaci per “L’Europeo”? Cosa ne diceva in privato?
Nutriva sentimenti di stima nei suoi confronti perché la redazione dell’Europeo travisò i contenuti dell’intervista e la Fallaci si scusò con lui per l’accaduto. Diceva che concedere l’intervista alla Fallaci mentre era latitante costituiva forse un peccato d’orgoglio. Era colpito dal fatto che la scrittrice avesse voluto incontrarlo anche perché essa, così apprezzata in tutto il mondo, fino ad allora aveva solo intervistato esponenti della sinistra. E, dopo averla conosciuta, rimase affascinato dal suo carisma e dalla sua onestà intellettuale. Insomma un grande incontro. Anche la giornalista fu impressionata da mio zio al punto che si mostrò solidale con lui e gli chiese di schierarsi dalla sua parte.
- Un pensiero per suo fratello Antonio, che ha seguito le stesse orme dello zio sia come sindacalista che come politico?
Parlare di Antonio non mi riesce facilmente. Non ho ancora superato lo shock della sua morte improvvisa. Mi manca la sua lucida analisi politica. Antonio viveva in simbiosi con nostro zio e da lui ha appreso che la politica è servizio, sacrificio, passione. Ed ha consacrato la sua attività a questi dogmi. Ha condotto grandi battaglie sindacali ed è stato sempre dalla parte dei più deboli. Tutta la sua vita politica è stata improntata a lealtà e trasparenza. Proprio ciò di cui avremmo così tanto bisogno in questo momento.