La magnifica rappresentazione di un dramma familiare, seppur con qualche pecca nelle storie “di contorno”. Questa potrebbe essere la migliore definizione per spiegare in poche parole “MotherFatherSon“, la miniserie in otto puntate andata in onda su Sky Atlantic dall’8 giugno fino allo scorso lunedì. Un prodotto tutto sommato ben confezionato, quello creato da Tom Rob Smith, che si è caratterizzato in primis per un cast di altissimo livello, sul quale ha brillato senza tanti intoppi quel Richard Gere che le donne di tutto il mondo hanno adorato per l’immagine di uomo tenero in pellicole come “Hachiko” e “Pretty Woman”, ma che ha ugualmente saputo ammaliare il gentil sesso nell’inedito ruolo dell’uomo e del padre senza scrupoli, disposto ad asfaltare persino la sua famiglia pur di ottenere ciò che vuole.
Rapporti disfunzionali
Il punto di forza della serie TV risiede proprio nella dinamica a dir poco malata tra Max Finch (il personaggio interpretato da Gere) e i componenti della sua famiglia, primo fra tutti Caden (Billy Howle), destinato inevitabilmente a deludere le pressanti ed improbabili aspettative paterne. Classe 1989, Billy Howle ha portato sul piccolo schermo una magistrale interpretazione del giovane Finch, inizialmente deviato nell’animo e disposto a sporcare mani ed anima pur di assomigliare a quel genitore che tanto odia, ma dal quale vorrebbe almeno un cenno di approvazione. Nel corso dello show, Billy riesce a redimersi ed è forse l’unico dei protagonisti di “MotherFatherSon” al quale viene concesso un “happy end“, con tanto di risvolto romantico e di possibilità di ricominciare senza espiare (legalmente, non emotivamente) nessuno dei crimini dei quali il giovane si era macchiato in passato.
La dinamica padre-figlio nella serie è importantissima e viene ulteriormente approfondita nel quinto episodio di “MotherFatherSon”. In esso, viene mostrato come il comportamento di Max nei confronti di Caden sia fortemente condizionato dal rapporto malsano tra l’uomo e suo padre. Un flashback mostra allo spettatore gli abusi subiti da un giovanissimo Max da parte del padre, che mira a forgiarlo ed a renderlo “acciaio” in modo da affrontare le avversità della vita. Nel presente, Max vive un momento di debolezza temporanea, prima di ricadere nel cliché dell’uomo “a cui non devi chiedere, mai“.
Perfetto contraltare del freddo e calcolatore Max è la sua ex moglie, e madre di Caden, Kathryn Villiers, uno dei personaggi meglio caratterizzati e psicologicamente evoluti, episodio dopo episodio. Inizialmente votata a recuperare il rapporto con quel figlio strappatole via troppo presto – nonché a vendicarsi del sadico ex consorte – Kathryn riceve alla fine della serie una proposta allettante, ma che potrebbe spingerla ad accantonare, seppur temporaneamente, gli ideali per i quali la donna aveva combattuto strenuamente, sino all’ultimo. Tutte le azioni compiute da questa madre, però, sono esclusivamente pensate per proteggere Caden: poco importa quale sarà il prezzo da pagare. Helen McCrory è perfetta nel ruolo di una donna spezzata dal dolore, ma mai piegata dai soprusi dell’ex marito, al quale riesce a tenere testa anche quando sembrerà rinunciare ai suoi ideali nel momento in cui accetterà la direzione di quel giornale che tanto dolore aveva causato alla sua famiglia.
Le pecche
Fin qui i pregi di una serie che resta uno dei titoli più importanti trasmessi da Sky Atlantic. “MotherFatherSon“, però, presenta anche alcune pecche che non riguardano assolutamente il cast artistico. Non sono solo i tre protagonisti, infatti, ad offrire performance di encomiabile livello, ma anche buona parte dei comprimari dello show. Basti citare Sarah Lancashire, che nella miniserie interpreta la candidata a Primo Ministro inglese Angela Howard, perfetto ritratto di alcuni politici d’oggi; Joseph Mawle (che molti ricorderanno nell’iconico ruolo di Benjen Stark nella saga fantasy “Il trono di spade”) nella parte di Scott Ruskin, uno dei pochi personaggi “buoni” della serie; Pippa Bennett-Warner, che in “MotherFatherSon” interpreta uno dei ruoli secondari-chiave della storia: Lauren, il braccio destro di Max.
Attorno a questi ed altri attanti si snodano delle sottotrame che avrebbero meritato maggior attenzione, anche perché strettamente legate alla storia principale. Uno dei punti deboli della serie, ad esempio, risiede nel modo in cui viene affrontata la componente d’inchiesta giornalistica, ovvero il tentativo da parte di due ex collaboratori della testata in mano ai Finch di scoperchiare il cosiddetto “vaso di Pandora” in cui sono contenuti tutti i crimini dei quali Max e Caden si sono macchiati negli anni. Omicidi, omissioni, flusso delle notizie condizionato, servizi sensazionalistici pompati ad arte pur di ottenere la vittoria di questo o quel candidato politico, che porteranno a drammatiche e letali conseguenze. Una vicenda di contorno davvero avvincente, ma che è stata quasi strozzata dal mèlo familiare che ruota attorno ai Finch quando avrebbe invece meritato un maggiore approfondimento. Anche il finale della serie ha suscitato qualche perplessità: un misto di lieto fine in chiave agrodolce ed alcuni interrogativi ancora aperti, che hanno fatto pensare spettatori e critici ad una probabile seconda stagione. Un sequel che, però, potrebbe rivelarsi non solo inutile, ma anche ridondante: alcune serie dovrebbero chiudersi al momento giusto e probabilmente “MotherFatherSon” è una di queste.