Una riflessione sul genio Alfred Hitchcock proprio qui, su “Cinematocrito“? Se ve lo state chiedendo, no, non sono impazzito e non credo che il maestro della suspense ansiogena abbia mai prodotto film non all’altezza delle aspettative (anche se, qualche volta, persino lui toppava alla grande, soprattutto nel periodo del muto). In realtà, Hitchcock (di cui in questi giorni ricorrono i 40 anni dalla morte, avvenuta il 29 aprile 1980) cristallizza benissimo quanto noi vogliamo esprimere con questa rubrica cinematografica sui generis di “A Punta di Penna“: la capacità di produrre pellicole che sulla carta esprimono determinate tematiche, ma che poi, involandosi sullo schermo, se ne liberano come le farfalle dal bozzolo per andare oltre le intenzioni di regista e sceneggiatore, palesando ben altri concetti (probabilmente più reali) che, magari, erano presenti solo nel subconscio dei loro autori.
A diversi cineasti questo aspetto capitò in senso negativo, mentre al buon vecchio Hitch andò molto meglio, perlomeno nella sua filmografia hollywoodiana che copre grossomodo due decenni dal 1940 (anno in cui diresse il suo primo film statunitense, “Rebecca, la prima moglie”) al 1964 (con la produzione di “Marnie”).
Tra i primi registi-personaggio della storia del cinema (fu proprio lui a creare la figura del regista vip che non si fa mettere in ombra dagli attori, come imponeva lo star system americano di un tempo) e abilissimo promoter di sè stesso tramite i celebri cameo (tipo “trova l’intruso”) nei suoi film, la serie tv “Alfred Hitchcock presenta“, le comparsate nei talk show e i trailer inquietanti (due esempi: quelli di “Psycho” e “Gli uccelli”, perfino più spaventosi delle pellicole che presentano), Hitchcock fu anche il precursore di un genere, il thrilling, che non si limita più a raccontare un rosario di omicidi fino alla soluzione finale (com’è tipico del giallo), ma che, come detto prima, va oltre per parlarci delle ansie da tormento dell’uomo contemporaneo, dell’angoscia che può venir fuori anche dal banale quotidiano, la curiosità morbosa celata in ognuno di noi ed il panico improvviso nelle situazioni apparentemente più tranquille. Non solo, ma il regista inglese agì sempre incastonando tra i fotogrammi anche le nevrosi più dolorose, sue e nostre, annidate sapientemente nelle menti tortuose dei suoi eroi, solo a prima vista buoni, bravi e belli.
Profeta della paura post Covid-19
Ma noi, che amiamo osare, ci spingiamo a dire di più: oltre che precursore di tematiche psicologiche ed anticipatore di tecniche filmiche in seguito stra abusate, riteniamo che il maestro del brivido sia stato anche un profeta. Sì, profeta delle insicurezze e delle angosce di cui spesso è insensatamente preda l’uomo del 2000, quello che vive a cavallo di due millenni e dipende, ormai quasi in simbiosi, dalla tecnologia, ma che non riesce più a “guardare” chiaramente in sé stesso e negli altri. E perché no, abbondiamo: Hitch fu anche vate di quest’era ansiolitica determinata dall’emergenza da Covid-19.
Stiamo esagerando? Assolutamente no. Perchè in quel suo andare oltre le apparenze, i luoghi comuni e i limiti imposti dai produttori, Hitchcock dipingeva il Male nascosto nei luoghi più impensati e nelle persone meno sospette, il terrore che viene fuori dal nulla, improvviso e paralizzante, e che ribalta repentinamente l’atmosfera da un bel sogno ad un orribile incubo. E non è quello che stiamo vivendo adesso, con questo dannato Coronavirus che ha dissolto le nostre certezze quotidiane e lasciato libero sfogo alle nostre psicosi?
Basta fare un po’ di zapping alla rinfusa sui suoi film per rendersene conto: il sospetto che mostra le persone diverse da ciò che credevamo (praticamente tutte le pellicole del maestro); chi sa di essere innocente ma viene ingiustamente accusato o soffre per una tragica serie di circostanze che non dipendono da lui (“Il ladro”, “L’uomo che sapeva troppo”, “Io ti salverò” o, in chiave più leggera, “La congiura degli innocenti”); l’Uomo Qualunque invischiato in una situazione disperata senza controllo (“Intrigo Internazionale”, “La donna che visse due volte”, “Gli uccelli”, “Nodo alla gola”), la permanenza forzata in casa che spinge a spiare, indagare e “controllare” morbosamente le vite altrui (“La finestra sul cortile”, ma anche “Psycho” e “Marnie”); la Natura stessa e il mondo circostante improvvisamente minacciosi, terrorizzanti e violenti contro l’uomo (“Gli uccelli”). Queste appena elencate non sono forse le nostre paure più recondite venute allo scoperto con lo scoppio della pandemia? Eppure, Hitchcock le aveva già intuite e registrate su pellicola più di 60-70 anni. E quindi, non c’è niente di meglio che ricordarlo così nel quarantennale della morte, riflettendo sull’angoscia che lui, in fondo, immortalava sul grande schermo per esorcizzarla e metterci in guardia.