Nel sesto giorno di proiezioni, passeggiate sul red carpet e conferenze stampa al Festival del Cinema di Roma 2024, torniamo a parlare di serie tv occupandoci del biopic Miss Fallaci dedicato alla cara Oriana, mentre per l’argomento “cinema” abbiamo scelto per i lettori il racconto discreto di un caso di bullismo nell’italo-tedesco About Luis (tr., a proposito di Luis).

“Miss Fallaci”, la fiorentina sconosciuta ai più

Premessa: anche di questa serie abbiamo visto solo i primi due episodi (su otto), quindi se ci sarà un miglioramento o un peggioramento della storia non lo sappiamo ancora, noi ci siamo basati su quello che abbiamo visto. Trama: anni 50; frustrata perché vorrebbe scrivere di politica invece che di cinema e spettacolo, la giovanissima Oriana Fallaci riesce a strappare al suo direttore dell’Europeo l’autorizzazione a recarsi negli Stati Uniti per scrivere di Hollywood e mondanità (da questa esperienza la nostra tirerà fuori il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood). Sarà l’inizio di un’evoluzione e maturità professionale che la porterà a diventare la proverbiale giornalista determinata e controcorrente com’è ricordata oggi.
Selezionata per la categoria “Freestyle” e di prossima programmazione su Rai1 e RaiPlay, la fiction non è un film sull’intera vita della Fallaci (a volte, però, rischia di scivolare nell’agiografia) ma sulla nascita del suo intenso rapporto con l’America ed anche un ritratto (sconosciuto ai più) della cronista da giovane, già energica e propositiva, ma ancora lontana dall’immagine dell’Oriana combattente senza compromessi che tutti conosciamo. I soliti riferimenti alle speculazioni ideologiche odierne ci sono tutti (pazienza, ormai ci siamo abituati), ma il racconto procede con scioltezza e rapidità andando subito al sodo e lasciando gli approfondimenti sociali e psicologici per dopo, anche se con un po’ di superficialità, ma dopotutto si tratta di una serie tv. Miss Fallaci, ad ogni modo, ci consegna la figura di una donna a tutto tondo, che lotta persino contro sé stessa, cocciuta anche a costo di ricavarci brutte figure e accusata dalla maggior parte dei colleghi di essere (non a torto) capricciosa ed autoreferenziale. Miriam Leone si dedica con convinzione e bravura all’interpretazione di Oriana ed anche se a qualcuno potrà sembrare troppo bella e poco somigliante all’originale, ricordiamo ancora una volta che quella descritta nella serie non è la Fallaci della nostra memoria collettiva ma quella degli esordi; anzi, proprio la scelta della Leone, con la sua bellezza glamour, non solo si abbina perfettamente allo sconfinato amore che Oriana sviluppò per gli States, ma è intonata all’ambientazione nella Hollywood dello star system anni 50, irradiante luci, divertimento e feste esclusive. Però, alla serie riesce bene la descrizione di questo mondo dorato in cui, grattando bene la superficie, ne escono fuori tutte le miserie morali e le contraddizioni (che coincidono poi perfettamente con la contraddittorietà della stessa Fallaci), come le interessanti scene dei divi terrorizzati dalla stampa e dal gossip e costretti a mantenere uno stile di vita fintamente bigotto che non dia adito a sospetti e maldicenze (insomma, un politicamente corretto d’antan, ma in questo gli americani sono maestri).

“About Luis”, il bullismo che disgrega una famiglia

Ho definito sopra “italo-tedesco” questo film (in gara al concorso “Progressive Cinema“) poiché la regista è Lucia Chiarla, attrice e regista teatrale genovese da anni stabilitasi a Berlino, interprete nonché autrice della sceneggiatura (con la collaborazione di Marco Travaglio) della curiosa commedia cinematografica Bye Bye Berlusconi! (2005) di Jan Henrik Stahlberg, produzione teutonica mai distribuita in Italia malgrado i diritti acquistati a suo tempo da Massimo Ferrero, almeno stando alla scheda Wikipedia.
Trama: a Stoccarda, Jens e Costanze sono due coniugi quarantenni e genitori di un bambino di 10 anni, Luis; marito e moglie lavorano entrambi e non sembrano occuparsi molto del figlio. Jens lavora come tassista, soprattutto di notte, e le sue intere giornate sono vampirizzate dal lavoro. Ma quando Luis inizia ad essere bullizzato a scuola, la loro vita cambia radicalmente fino ad una svolta drammatica.
Un approccio interessante: un film non sul bullismo, ma sui suoi effetti devastanti che si abbattono sulle famiglie delle vittime. E la scelta registica (non particolarmente originale, ma di forte impatto emotivo) di ambientare tutte le scene a bordo del taxi di Jens, lasciando la vicenda principale fuori campo e all’immaginazione dello spettatore; in più, non vedremo mai Luis, ma sentiremo solo la sua voce nelle telefonate e nei messaggi vocali. In questo modo, la regista pare suggerire come un figlio sia l’anima stessa del contesto familiare, l’ossatura forte su cui si dovrebbero fondare i rapporti fragili tra moglie e marito. Rispettando le famose tre regole aristoteliche dell’unità di tempo, luogo e azione, la Chiarla (di cui è evidente la provenienza teatrale) inietta a poco a poco una maggiore consapevolezza a Jens sul suo ruolo di padre: il protagonista vive praticamente nel taxi perché secondo lui rappresenta una stabilità ed un porto sicuro per affrontare la situazione; inoltre subisce i problemi economici e la concorrenza spietata degli uber, per cui sgobba più del dovuto minando già per questo il rapporto con la moglie, a sua volta alle prese con difficoltà lavorative.
Insomma, Jens concepisce il taxi quasi come un simulacro delle certezze familiari, che crollano a poco a poco nel corso del film.
Per il resto, l’opera ripercorre pedissequamente il corollario di situazioni che spesso si verificano in questi casi di cronaca: il senso di impotenza e rabbia montante dei genitori, i pregiudizi contro il figlio a causa del suo zaino viola, le scelte sbagliate (Jens che arriva a minacciare uno dei bulli rischiando una denuncia), l’indifferenza delle istituzioni (la scuola che preferisce sospendere Luis invece dei bulli per paura di perdere il controllo) ed infine il suggerimento finale del film ad agire (i due denunceranno l’istituto scolastico quando Luis finirà in coma dopo essere stato spinto giù per le scale da un compagno) senza attendere o farsi condizionare dal confronto infinito con gli altri o dalle recinzioni ideologiche (divertente lo sproloquio di Jens contro le categorizzazioni e il politicamente corretto, ma anche la suocera che inveisce contro il capitalismo per spiegare il fenomeno del bullismo). A volte si ha l’impressione che il film non sappia bene che registro adottare (dramma o commedia?), ma poco male: rende comunque un buon servizio ad un tema molto, troppo scottante dei nostri tempi. E arriva a sostenere che forse la famiglia debba necessariamente sfaldarsi per poi uscirne più unita e forte di prima. Inutile dirlo, bravi e capaci gli interpreti.