“Verba volant, scripta manent“: un adagio latino, sempre attuale, ma anche un invito a soppesare attentamente le parole da utilizzare, avendo cura di non trascrivere – e quindi di lasciare ai posteri – prove tangibili di insensibilità, imprudenza e – perché no? – anche di sonora ignoranza.
Chissà a cosa stava pensando Concita De Gregorio quando, sullo spazio consueto riservatole su Repubblica, ha scelto di trattare una tematica importante ricorrendo ad una terminologia non solo impropria, ma soprattutto indelicata nei confronti della sempre troppo spesso calpestata categoria dei diversamente abili.
Le parole scritte restano e feriscono. Il peso di tali parole diventa più duro di un macigno se a riportarle su web e carta stampata è una nota giornalista e scrittrice che, come molti suoi colleghi, vanta la peculiarità di non avere peli sulla lingua.
L’antefatto
Nel discusso editoriale dello scorso 4 agosto pubblicato su Repubblica, Concita De Gregorio affronta la tediosa questione dei giovani influencer che, pur di ottenere il tanto agognato quarto d’ora di celebrità in rete, non hanno esitato a distruggere una statua di valore artistico incalcolabile.
Lo sdegno espresso dalla giornalista e opinionista pisana, però, è stato riportato nero su bianco ricorrendo ad epiteti non solo poco consoni, ma pesantemente lesivi nei confronti delle persone affette da disabilità e dei propri familiari.
“Allora, dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca – incalza la giornalista – Ecco, ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno – e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità“.
Parole pesantissime, che hanno scatenato una marea di polemiche che non accenna a placarsi e costretto la penna di Repubblica a rettificare le proprie scioccanti affermazioni ad appena 24 ore di distanza. Una sorta di lettera di scuse mal confezionata, nella quale la sagace opinionista non manca di cospargersi il capo di cenere per la sua improvvisa inappropriatezza di linguaggio, salvo poi tirare in ballo la sempreverde scusa del politicamente corretto, causa di tutti i mali e della paralisi del libero pensiero. Una toppa ben peggiore del buco.
La risposta di una madre
La discutibile arringa difensiva del “Concita-pensiero” ha innescato una pesantissima reazione a catena, che non ha spinto solo l’Ordine dei Giornalisti ad intervenire segnalando la professionista, ma ha soprattutto visto scendere in campo i genitori di ragazzi e bambini affetti da varie forme di disabilità. La nostra redazione ha raccolto la toccante lettera della madre di un bambino autistico, che con educazione e fermezza ha scelto di rivolgersi proprio alla De Gregorio.
Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera, auspicando in un momento di seria riflessione sulla tematica del rispetto reale per le disabilità.
“Cara Concita, le racconto una storia…
Più che una storia è un aneddoto, e riguarda mio figlio, sei anni e mezzo nello spettro autistico. Un bambino abituato ad andare dovunque, anche perché io e mio marito ce ne siamo sempre infischiati di quella che qui chiamano “a vrigogna da genti” (il giudizio degli altri, si potrebbe tradurre così). Le dicevo appunto mio figlio, che l’altro giorno in un supermercato che siamo soliti frequentare nella cittadina dove 11 mesi su 12 effettua le sue terapie, osservando un vaso di tulipani posto sul bancone della reception del supermercato, di punto in bianco se n’è uscito con: “Che fiori sono questi?”. Una domanda che a lei potrà sembrare insulsa, da bambino di scuola materna, ma che a me ha fatto piacere ascoltare ed alla quale ho dato una risposta semplice.
Dietro quella domandina infantile, cara signora Concita, ci sono undici mesi di lavoro con due terapiste eccezionali, che amano mio figlio così come gli altri bimbi che seguono. C’è l’impegno di quella scuola che accoglie ed integra i bambini come il mio e, si, della maestra di sostegno da lei citata…quella della bava, del sillabare…sa che io mi auguro che sia presente dal primo giorno di scuola? E con lei anche l’essenziale figura dell’educatrice? Qualunque genitore come me farebbe il cammino di Santiago sulle ginocchia se qualcuno garantisse queste figure dal primo all’ultimo giorno di scuola…ma credo che lei lo sappia, o almeno che lo abbia appreso dalle millemila lettere di replica agli editoriali da voi scritti nei giorni scorsi, scritte non solo da semplici genitori nelle mie condizioni, ma anche da vostri esimi colleghi che i “decerebrati” li hanno nello stato di famiglia.
Ma non la tedio con qualcosa che tutti le stanno scrivendo da qualche giorno a questa parte, io stessa ero decisa a non scriverle reputando che ciò che doveva esserle detto era stato detto da chi si sarebbe espresso meglio di me. Non aggiungerebbe niente di più che l’ovvio. Le scrivo perché, casualità, la sera in cui mio figlio mi ha fatto quella domanda, dopo qualche ora, durante uno dei rari momenti di relax (che spesso coincidono quando metto i bambini a letto e riesco a leggere qualche notizia sui giornali online) ho letto dell’ennesimo gruppetto di “scalmanati”, chiamiamoli così per il momento, che a Praia a Mare (Cs) ha deciso di entrare in casa di un povero cristo, vandalizzarla, gettare gli abiti di costui dalla finestra e filmare tutto a favore del pubblico della nota app cinese destinataria del “corto d’autore”.
Mi chiedevo, appunto, come definirebbe lei questi aspiranti Kubrick del web…decerebrati? Ritardati? Necessitanti di sostegno? Io li chiamerei in un modo che nessun caporedattore di senso mi permetterebbe di pubblicare, una parolina volgare molto in uso qui nel sud in cui vivo, ma efficace e, mi permetto, certamente più centrata ed efficiente del “decerebrati” che voi stessa avete usato…che poi da una giornalista blasonata e rispettata come lei, che lavora da anni, mi sarei aspettata più proprietà di linguaggio, ma vabbè, passiamoci sopra.
Torniamo ai ragazzi di Praia, che come i ragazzi della statua, quelli di Casalpalocco e tanti altri necessitano sì di qualcosa, ma questa non è un’insegnante di sostegno. E’ l’educazione. Vede signora Concita, è questa la grande assente di tutta questa storia sin dagli albori della diatriba: l’educazione. Quel valore oramai passato di moda, tanto cheap agli occhi di voi progressisti…quella cosa che alcuni genitori oramai non impartiscono più, delegando la crescita dei propri figli a terze persone: insegnanti, capo scout, maestra di zumba, allenatore di calcio…tutti purché i pargoli stiano lontani, occupati e possibilmente più tempo possibile fuori casa.
Da qui le inevitabili conseguenze: la solitudine che porta alla creazione del “branco”, che porta al creare profili social, che puntualmente vengono puntati dai “talent scout” del web, che al mercato mio padre comprò. La mia certo è un’analisi spicciola e mi auguro che molti genitori che lavorano dalla mattina alla sera non si rivedano in questa mia descrizione, non sono loro i soggetti che sto mettendo sotto la lente d’ingrandimento. Sono quelli più vicini al vostro mondo, signora Concita, quelli che sanno di poterne uscire impuniti o quasi anche quando scorrazzano per le strade alla velocità della luce alla guida di supercar che noi solo nei sogni potremmo condurre. Quelli che alle feste sciolgono qualcosina nei bicchieri di una povera malcapitata che il giorno dopo, confusa e piena di vergogna, si recherà in un consultorio in compagnia dell’amica del cuore. Quelli che distruggono statue a favore di like, deturpano i nostri beni architettonici e culturali, tanto come una qualunque majokko dello studio Pierrot, basterà loro formulare le paroline magiche, al posto della bacchetta la carta di credito supermegapuff, “papino, soldino, avvocatino”.
E tutto per magia scompare, sino al prossimo macello, al prossimo stupro, al prossimo incidente. La saluto, signora Concita, le ho rubato sin troppo tempo, fermo restando si sia messa a leggere le mie misere e banali parole, ma credo proprio di no. Torno, tra una sillaba e l’altra, ad occuparmi dei miei figli. Ed a godere, in maniera un po’ sadica, del fatto che mio figlio, da lei ritenuto “decerebrato”, mai e poi mai entrerà in case altrui a molestare e vandalizzare per un pugno di like.
Una mamma calabrese.“