Parole declamate, strigliate o urlate, rimbalzanti come biglie da un lato all’altro della sala per arrivare, come dentro un flipper, direttamente al cuore del pubblico. Così è sembrato a chi scrive il reading pubblico (anzi, l’acting) di alcune poesie del giornalista e scrittore reggino Giuseppe Gangemi, tratte dalla raccolta “Parole del Sud“, edita nel 2018 da “CITTA’ DEL SOLE edizioni” e giunta alla seconda ristampa.
La lettura si è tenuta ieri sera presso la libreria indipendente “Spazio Open” di Reggio Calabria, presente lo stesso autore; l’evento, accompagnato da performances recitative e accordi musicali e diretto ed interpretato da Antonio Caracciolo con le allieve Caterina Alessi, Marina Cannuci, Anna Gatto, Maria Margherita Marino, Gisella Rescigno dell’associazione “Pharos Teatro“, rientra in un più ampio programma di spettacoli e letture finalizzato a promuovere la letteratura e la prosa meridionali ridando una maggiore dignità culturale al Sud Italia.
Ma veniamo alle poesie di Gangemi; non perdete tempo a chiedervi quale sia il suo genere o lo stile, basta che pensiate solamente a questo: ci troviamo di fronte a versi scritti per essere obbligatoriamente recitati, secondo il modus operandi degli antichi bardi o dei moderni cantastorie. Si tratta di poesie crude, viscerali, pervase di tristezza o di felicità, di dolore o di improvvise esplosioni di vitalità incandescente; non certo quel genere di liriche concepite per ammuffire tra le pagine di un libro, non si può fermarle sulla carta, devono per forza viaggiare tra la gente ed essere carpite nel profondo, giacché una poesia non è destinata alla razionalità, ma deve puntare immediatamente all’anima per venire compresa senza filtri concettuali. Oltretutto, come spiegato nella prefazione di Dante Maffia, il cavallo di battaglia di Gangemi è la poesia civile, quella lirica che non si appiccica all’introiezione di chi la compone, bensì è tutta protesa verso l’esterno pescando a piene mani dal contesto, dall’ambiente che la circonda, financo dalla cronaca, anche quella più orribile e spietata (il dramma dei bambini iracheni durante la prima Guerra del Golfo in “1991”, il suicidio di una ragazzina di Roseto Capo Spulico [Cs] avvenuto nel 2003 in “Pamela”, lo “Tsunami” del 2004 che si tramuta nell’astrazione di un sentimento oppure la beffarda “Ode al tumore”, un breve dialogo di resistenza all’avanzare inesorabile del brutto male). Non solo “Parole del Sud”, ma dal Sud.
Ma soprattutto, il realismo sublimale di Gangemi trova la sua espressione più alta nelle numerose poesie dedicate alla Calabria: terra amata, cantata, esaltata oppure odiata, ma che si staglia al di sopra di tutto il resto. Una regione-paradiso se si osserva il paesaggio, un dolce inferno se ci riferiamo ai legami conflittuali con la propria identità, per sfociare in un cupo grido di dolore se ci si concentra sull’incapacità della Calabria a diffondere la cultura o ad “accudire” i calabresi, che sono costretti di conseguenza a disperdersi nel mondo.
Non è un caso che la migliore performance abbia avuto come oggetto una delle poesie migliori di Gangemi, “Calabria Inutile”, una vera e propria saga di tutti i pregi, i difetti, le bellezze e gli “orrori” di una terra maltrattata, il cui stesso nome viene sminuzzato dalla sintassi per trasformarlo in un urlo munchiano di agghiacciante intensità: la Calabria senza dignità, “a pezzi/smembrata, rovesciata, vomitata/svuotata e sotterrata, la Calabria politica, “che si candida, che promette/che compra i voti, che risulta/che non ce la fa, dalle infinite contraddizioni, “federale, autonoma/indipendente, leghista, legata…colta, ignorante/Corrado Alvaro, l’abbandono scolastico/le sale giochi, la Magna Grecia/…con il mercedes e l’abito firmato/che parla a un telefonino/che scrive poesie…”.
In ultimo, aggiungiamo che, qualora vogliate comprare “Parole del Sud”, ricordate sempre di leggere queste poesie solo ad alta voce, altrimenti vi perdereste più di un quarto della loro visceralità.