“Forse non sono un buon attore, ma qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata peggio“: in questi termini l’attore scozzese Sean Connery amava parlare di sé stesso e del suo approccio alla Settima Arte. Sarcasmo o incapacità di quantificare il suo reale talento? Forse non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: il cinema mondiale piange oggi la scomparsa di un interprete elegante, versatile, capace di passare con disinvoltura dal melodramma in costume alle spy stories, rendendo ogni pellicola nella quale ha preso parte preziosa come il più puro dei diamanti.
Eterno Bond
Nato nel 1930 nella “sua” Edimburgo (Connery ha sempre esternato con orgoglio l’amore per la sua terra, rivendicandone a gran voce l’indipendenza), Sean aveva compiuto lo scorso agosto 90 anni. Una carriera sfolgorante, la sua, conclusasi nel 2003 (dopo l’ultima apparizione nel film “La leggenda degli uomini straordinari“) e che era iniziata, dopo le prime esperienze teatrali negli anni Cinquanta e alcune parti minori in diverse produzioni televisive e cinematografiche (anche con la Disney, in “Darby O’Gill e il re dei folletti”, dove addirittura canta!), con l’interpretazione di uno dei personaggi più iconici della letteratura e del cinema: James Bond, meglio noto come Agente 007. Connery vestì i panni di Bond in ben sette pellicole (compresa una fuori serie), abbandonando i suoi panni prima di correre il rischio di identificarsi solo in quel ruolo. Una scelta azzardata per i tempi, ma coraggiosa, che ha premiato l’affascinante interprete scozzese capace di impressionare grandi cineasti come Alfred Hitchcock: il regista britannico lo diresse in “Marnie” (1964), noir a tinte drammatiche nel quale Sean Connery interpretava Mark Rutland, innamorato della protagonista, Marnie (Tippi Hedren), una donna fragile e tormentata dal misterioso passato.
Connery ha mostrato negli anni la sua innata vena camaleontica interpretando con estrema convinzione svariati ruoli, dal padre di Indiana Jones (in “Indiana Jones e l’ultima crociata” diretto da Steven Spielberg) al maestro d’armi Juan Sánchez Villa-Lobos Ramírez nella saga “Highlander“, dal leggendario re Artù nell’indimenticabile “Il primo cavaliere” a Riccardo Cuor di Leone nel superlativo “Robin Hood – Principe dei ladri” con Kevin Costner. Sono due, in particolare, le interpretazioni che hanno consacrato Sean Connery nell’Olimpo dei grandi attori internazionali: quella di Jimmy Malone ne “The Untouchables – Gli intoccabili” (che gli valse l’Oscar ed il Golden Globe come Miglior Attore Non Protagonista nel 1988) e quella dell’enigmatico Guglielmo da Baskerville, monaco protagonista de “Il nome della rosa“, film del 1986 diretto da Jean-Jacques Annaud e tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, che fece guadagnare a Connery l’ambito BAFTA due anni dopo come Miglior Attore.
Cordoglio
A dare la triste notizia della morte al mondo è stato il figlio Jason: “Stiamo tutti cercando di elaborare questo enorme evento in quanto accaduto da poco, nonostante mio padre non stesse bene da un po’ di tempo. È un giorno triste per tutti coloro che conoscevano e amavano mio padre e una perdita per tutte le persone nel mondo che hanno goduto dello stupendo dono che aveva come attore“. L’attore, che viveva alle Bahamas dal 2003, era un uomo riservato: poco o nulla si conosceva sulla sua vita privata, a parte il fatto che era stato sposato due volte.
Tra le prime personalità note ad esprimere il proprio cordoglio per la dipartita di Connery, il Primo Ministro scozzese Nicola Sturgeon: “Sono davvero affranta per la notizia, è stato uno dei figli più amati della nostra terra“.
Riposa in pace, James Bond.