“Ne avevamo realmente bisogno?“. Questa la domanda che ha serpeggiato tra gli addetti ai lavori all’indomani delle nuove linee-guida proposte dall’Academy, che obbligheranno letteralmente gli Studios blasonati, così come le case di produzione minori, a rigide norme atte a tutelare le cosiddette “minoranze” a partire dal 2024.
“I film dovranno riflettere l’eterogeneità della popolazione globale, sia nella creazione di film sia nel pubblico che si connette con loro” hanno spiegato il Presidente dell’Academy David Rubin e l’Amministratore Delegato Dawn Hudson, che con questo nuovo regolamento mirano a sensibilizzare la Settima Arte alla tanto tediosa quanto controversa tematica dell’inclusione di svariate categorie sociali. Quote rosa, comunità LGBTQ+, minoranze etniche, afroamericani, disabili: nessuno dovrà, nelle intenzioni dei membri dell’Academy, essere dimenticato in nessuna fase di realizzazione di una pellicola, pena l’esclusione del titolo dalla corsa all’ambita statuetta. Un intento nobile, ma che non ha in realtà sortito gli effetti sperati tra produttori, registi ed attori. La notizia, trapelata nel corso della kermesse italiana di Venezia, ha registrato diversi consensi ma anche parecchie perplessità. “Gli Stati Uniti mi sembrano un Paese schizofrenico che va per estremi. In strada vediamo afroamericani ammazzati dalla polizia, poi fanno queste cose di super tutela. Le minoranze andrebbero tutelate nella società civile” ha sottolineato il fondatore di Lucky Red Andrea Occhipinti, ponendo l’accento su una malcelata vena di ipocrisia che caratterizza la società americana.
Chiama in causa l’ossessione al “politicamente corretto” il regista e attore Giulio Base, al quale fanno eco le piccate esternazioni del collega Gabriele Muccino, che ha vissuto e lavorato per diverso tempo negli States. “Il sistema del cinema hollywoodiano, e quindi anche l’Academy con le sue regole in continuo mutamento, è ormai da anni sempre più avvitato nell’insicurezza sistematica che governa quel mondo e che viaggia in parallelo col suo abnorme ego per cui si sente paladina della civiltà – spiega il cineasta e fratello di Silvio Muccino – una responsabilità che il cinema non deve assumersi, secondo me. Il cinema non deve mai pensare in modo politico o morale“.
“L’essere ossessivamente politicamente corretti – conclude Muccino – è di fatto una spirale di paranoie che non avranno mai fine. E, soprattutto, non si può fare arte se i paletti sono così tanti e così limitanti da assomigliare a quelli che vengono messi per la visione di un cartone animato della Disney“. In effetti, l’imposizione di una determinata categoria di persone a prescindere dall’intento dell’opera o dalla trama di un film potrebbe rischiare di diventare un’arma a doppio taglio provocando l’esacerbazione dei conflitti, il dilagare di discriminazioni e tensioni pericolose. Se il nuovo regolamento emesso dai potenti dell’Academy riuscirà ad arginare il sempreverde problema razziale che sta oramai “intossicando” ogni settore – lavorativo e non solo – dei liberalissimi Stati Uniti sarà solo il tempo a dircelo. Per ora, le linee-guida dei prossimi Oscar sono riuscite soltanto ad alimentare un incendio destinato irrimediabilmente a divampare.