Si è spento lo scorso 22 marzo all’età di 90 anni uno degli scrittori e giornalisti più poliedrici, anticonformisti e creativi che la cultura italiana abbia mai conosciuto. La perdita di Alberto Arbasino, morto dopo una lunga malattia, lascia un vuoto difficilmente colmabile nel panorama intellettuale nostrano, specialmente in tempi difficili come i nostri, nel corso dei quali spuntano fuori come funghi, ahinoi, fake news e romanzi di dubbio gusto.
Gruppo 63
Nato a Voghera nel lontano 1930, Arbasino mostra sin da subito un animo in continuo fermento. Gli studi universitari – iscritto dapprima alla Facoltà di Medicina, lo scrittore deciderà infine di dirottare il suo interesse su Giurisprudenza, laureandosi nel 1955 – i primi passi nel mondo della scrittura (uno dei suoi primi racconti, “Destino d’Estate“, fu pubblicato su una rivista proprio nel ’55) e i viaggi-studio in giro per l’Europa ne forgiano immediatamente lo stile di scrittura e lasciano emergere sin dalle sue prime opere le tematiche care all’uomo: la vita della provincia italiana nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, nonché l’aspra critica alla società ad egli contemporanea, tutta imperniata di pettegolezzi, frivolezze, chiacchiere da salotto inutili. Spaccato di una comunità, quella raccontata da Arbasino, ora più che mai attuale.
Nome di punta del famigerato Gruppo 63 – movimento letterario nato a Palermo proprio in quell’anno, che riuniva intellettuali poco avvezzi ai dettami della letteratura “tradizionale” – il giornalista pubblicò nei primi anni Sessanta una delle sue opere più note ed apprezzate: “Fratelli d’Italia“, romanzo on the road che, attraverso il racconto del viaggio estivo tra Italia ed Europa dei due protagonisti (due giovani omosessuali, Antonio e l’Elefante) mira a mostrare al lettore l’ambiente culturale del Bel Paese negli anni Sessanta.
Stile surrealista, animo indomito
Nel 1969 esce un altro autentico best-seller firmato Arbasino: “Super Eliogabalo“, romanzo surrealista e camp incentrato sulla figura di un moderno imperatore (liberamente ispirato al suo omonimo dell’antica Roma). L’opera non mancò di suscitare aspre discussioni, ma raccolse anche notevoli consensi tra pubblico e critica; tratto, questo, inconfondibile di Alberto Arbasino, dotato della straordinaria peculiarità di non passare mai inosservato, in ambito letterario così come in quello giornalistico. Nel 1976 diventa collaboratore per La Repubblica; l’anno dopo conduce su Rai Due “Match“, nel quale il sagace giornalista mette a confronto due personalità di diversi ambiti (artistico, letterario, registico) aventi visioni diametralmente opposte allo scopo di creare uno scontro.
Il primo amore di questo intellettuale dai mille volti resta sempre la scrittura. Arbasino si è caratterizzato per il talento unico e straordinario di adeguare il proprio linguaggio all’evoluzione dei tempi. In “Rap!“, ad esempio, pubblicato nel 2001 (che ebbe un sequel l’anno successivo), l’intellettuale si accanisce in versi contro tutto e tutti, spaziando nella sua tagliente e politicamente scorretta invettiva dal G8 fino a Silvio Berlusconi. Arbasino incarnava perfettamente l’accezione pirandelliana dell’ “Uno, nessuno e centomila“, ma nel senso positivo del termine: in pochi furono, sono e saranno capaci di mostrare un adattamento linguistico ed una versatilità di genere nel corso di una carriera così lunga, sfaccettata e soddisfacente. Il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini ha voluto ricordare Arbasino con poche, ma veritiere parole: “Con il suo genio ha illuminato la cultura italiana e non solo“. Niente di più vero. Grazie, Maestro.