E’ oramai ufficiale: il tanto temuto Coronavirus è sbarcato anche in Italia. Ora dopo ora si aggrava il “bollettino” di guerra caratterizzato da contagi e, purtroppo, anche decessi. Parallelamente alla diffusione di questo nuovo “ceppo”, sul quale conosciamo ancora troppo poco, viaggiano incessanti – ahinoi – anche fake news (come quella, gravissima, denunciata proprio dal nostro portale in questi giorni) ed insostenibili episodi di violenza ai danni di cittadini cinesi su suolo tricolore, rei solo di provenire (ipoteticamente) dalla zona di origine del coronavirus.
Razzismo dilagante
L’equazione secondo la quale qualunque soggetto di etnia orientale debba necessariamente essere portatore di coronavirus dovrebbe essere ritenuta inesatta ormai da parecchio tempo. Dovrebbe, appunto, perché la realtà che in questi ultimi giorni si sta palesando sotto i nostri occhi è diametralmente opposta. E pensare che il nostro Paese non si è mai sottratto alla pratica, a volte abusata, dell’ospitalità a prescindere dall’etnia, dal colore della pelle e anche dalle patologie che qualunque rifugiato politico (regolare o clandestino) poteva presentare e potenzialmente diffondere all’interno dei nostri confini. Ironia della sorte, inoltre, il “paziente 1” affetto da coronavirus in Italia è un cittadino 38enne lombardo (dunque, italiano al cento percento). Nonostante tutte le raccomandazioni, i dati oggettivi e gli inviti emanati a ciclo continuo dal nostro Governo – tra i quali quello di non isolare attività commerciali cinesi perché ritenute infette a priori – la paura ha preso il sopravvento assumendo delle forme inquietanti e, spesso e malvolentieri, pericolose. Se il mese scorso era balzato agli onori della cronaca un episodio discriminatorio ai danni di studenti cinesi ad opera di una docente dell’Università degli Studi di Firenze (che aveva invitato i soggetti provenienti da Wuhan ed altre località cinesi a non presentarsi in Ateneo a sostenere l’esame), quasi 30 giorni dopo i toni nei confronti dei cittadini di origine orientale si sono decisamente inaspriti.
La rabbia di Facchinetti
Dalle colorite discriminazioni di carattere verbale (alcune delle quali documentate da telecamere di note trasmissioni TV, come “Non è l’Arena” di Massimo Giletti), alcuni facinorosi sono così passati alle “vie di fatto” aggredendo fisicamente e in maniera spropositata non solo cittadini cinesi, ma anche concittadini con gli occhi a mandorla, figli di immigrati cinesi ma di fatto italiani.
Nei giorni scorsi ha sconvolto l’opinione pubblica il racconto del conduttore e DJ Francesco Facchinetti, che ha spiegato come sia stato costretto a ricorrere egli stesso alla violenza per fermare due giovani bulli che avevano preso ingiustamente di mira un anziano cinese. “Ho cercato di spiegare ai ragazzi che il signore non c’entrava nulla con il coronavirus – ha raccontato il figlio di Roby Facchinetti sulle proprie pagine social, dopo aver visto il duo di delinquenti offendere il signore nei pressi di un oratorio in provincia di Como – Finché a un certo punto hanno cominciato a prendere i sassi e tirarli contro il povero anziano. Uno dei due ragazzi – continua il DJ – tira un pugno al signore cinese che cade per terra. Non ci ho visto più, so che sono un quarantenne padre di famiglia ma li ho presi a schiaffi tutti e due. Denunciatemi pure ai carabinieri, se i vostri genitori non vi educano sarà la strada a educarvi“, ha tuonato Francesco Facchinetti.
Nonostante la reazione spropositata del conduttore, la sua rabbia di fronte a certi gravi episodi di razzismo è comprensibile. Facchinetti non è l’unico a mostrare esasperazione per l’intollerabile clima di odio e paura diffusosi in questi mesi ai danni della popolazione orientale, vittima della veemenza di certi “personaggi” nostrani evidentemente già avvezzi a metodi così erroneamente risolutivi. In Veneto – altra regione focolaio del coronavirus in Italia – è stato aggredito con una bottiglia lo scorso 24 febbraio un uomo di origini cinesi; Zhang, questo il suo nome, era semplicemente entrato in una stazione di rifornimento a Cassola, provincia di Vicenza, per cambiare una banconota da cinquanta euro. “La barista, però, vedendomi, mi ha detto subito “Hai il coronavirus, tu non puoi entrare!” – ha raccontato il pover’uomo ad Open, testata on-line fondata da Enrico Mentana – A quel punto un ragazzo, che si trovava seduto all’interno, si è alzato e, dopo aver afferrato una bottiglia di birra che era sopra il tavolo, me l’ha rotta in testa causandomi delle lesioni“. L’aggressione a Zhang è solo l’ultima, in ordine cronologico, di una serie di insopportabili e reiterati atti di violenza fisica e verbale di chiaro stampo razzista. La speranza è che, assieme al coronavirus, possa essere contenuto e debellato anche un altro dei grandi mali del nostro secolo: l’odio, inutile, in tutte le sue forme.