“Non puoi fare una frittata senza rompere qualche uovo“: una frase che racchiude in sé tutte le lacrime e il sudore derivate dalla realizzazione di un piccolo gioiellino della serialità televisiva, quel “Watchmen” nei confronti del quale, più che cauto ottimismo, era stato inizialmente riversato un certo scetticismo. Le uova sono state rotte, la frittata è stata fatta e il risultato è stato più che gradevole, a dir poco sorprendente: perché la miniserie ideata da Damon Lindelof e tratta dal fumetto DC Comics di Alan Moore e Dave Gibbons non solo ha rappresentato per HBO la svolta dopo alcuni gravi “svarioni” (leggi: l’ultima stagione di “Game of Thrones” ed una seconda stagione di “Big Little Lies”, inutile), ma entra di diritto nell’Olimpo degli show seriali must see del 2019 e non solo.
Non un semplice sequel
La trama della serie “Watchmen” è ambientata in un 2019 alternativo. La storia prende il via da Tulsa, località sita nell’Oklahoma, suo malgrado centro nevralgico di vicende passate o attuali destinate a cambiare il destino dei nostri protagonisti. Gli USA, sempre più attanagliati dal problema del razzismo, sono governati da Robert Redford (si, proprio lui!), la cui presenza nello show è risicata e relegata alle parole dei personaggi e ad alcune brevissime apparizioni sui giornali. A garantire l’equilibrio e la giustizia per le strade della cittadina troviamo un corpo di Polizia piuttosto particolare: si tratta di un gruppo di vigilanti mascherati, con a capo Judd Crawford (impersonato da Don Johnson), che si trova a dover fronteggiare il Settimo Cavalleria, gruppo di suprematisti bianchi venuti in possesso del diario di Rorschach (dal quale traggono anche ispirazione nel look: i terroristi indossano, infatti, la stessa maschera dell’eroe nichilista ideato da Moore).
Quella che sembra profilarsi come la classica storia di lotta tra il bene ed il male prende improvvisamente una direzione inaspettata. Ricordate l’omicidio di Marion Crane nel celebre “Psycho“? Lindelof dimostra di aver imparato la lezione dal maestro della suspense assoluto, quell’Alfred Hitchcock che non si pose alcuno scrupolo nel far fuori la donna che sembrava essere la star indiscussa del suo capolavoro. Allo stesso modo, l’omicidio del capo della Polizia Crawford cambia le carte in tavola, confondendo le acque e disintegrando il confine ben delineato tra buoni e cattivi. Alla protagonista di “Watchmen”, Angela Abar (interpretata da una sublime Regina King) spetterà l’annoso compito di scoperchiare il consueto vaso di Pandora, gettando pesanti ombre sull’integrità del suo amico e mentore, ma non solo.
Passato, presente e futuro verranno messi in discussione da Sorella Notte (l’alter ego della Abar in Polizia), quando la donna verrà a conoscenza di importanti informazioni legate alla sua famiglia. La serie TV si ispira chiaramente all’opera originale, attingendo come una fonte da essa, senza però diventarne la copia carbone e, soprattutto, senza trasformare i suoi attanti in macchiette del fumetto DC; ecco perché non possiamo definire la creatura HBO come un semplice sequel del lavoro di Moore, né tanto meno del blockbuster uscito esattamente dieci anni prima a firma Zack Snyder. E’ però innegabile che, man mano che le vicende di Sorella Notte, Specchio e Lady Trieu vengono trasposte su piccolo schermo, allo spettatore viene mostrato sempre più chiaramente il filo rosso che lega le vite dei nuovi protagonisti a quelle di due icone della serie originale: il dio blu Manhattan e, soprattutto, Ozymandias.
Magistrale Irons
A proposito dei due alleati-nemici di “Watchmen”, uno spoiler è, ahinoi, d’obbligo: entrambi appaiono nella serie TV e giocano un ruolo centralissimo nello svolgimento della trama. Per quanto riguarda il temutissimo Dottor Manhattan, la sua presenza in “Watchmen” sotto mentite ed umane spoglie potrebbe essere ritenuta piuttosto scontata, oltre che un’ode al fanservice nudo e crudo: il dio blu dal controverso passato, infatti, vive e respira tra di noi, sotto le spoglie mortali del devoto e bel marito di Angela, Cal. L’uomo, che non ha memoria dei suoi trascorsi da eroe (grazie ad uno stratagemma di Ozymandias), conduce la sua serena esistenza da padre e consorte per ben dieci anni. Alla fine, però, si trova vittima della sua stessa macchinazione, con una sola, unica certezza: l’amore che lo lega indissolubilmente a Sorella Notte, lo stesso amore provato per Laurie Blake (alias Spettro di Seta), destinati entrambi a non poter essere vissuti felicemente fino alla fine dei tempi.
Se la costruzione del personaggio di Manhattan potrebbe risultare piuttosto semplice, è invece magistrale l’interpretazione di Jeremy Irons nei panni di Adrian Veidt, al secolo Ozymandias, l’indiscusso deus ex machina della serie di Lindelof. L’attore britannico veste in maniera impeccabile i panni dell’antieroe pazzo ma cosciente, al contempo, non solo di rappresentare il narcisismo fatto persona, ma anche di essere vittima di una solitudine che – nel gelo polare piuttosto che nella paradisiaca Europa – pare non abbandonarlo mai.
Il creatore della serie regala ad Ozymandias la più coerente delle nemesi, ovvero lady Trieu (Hong Chau), in tutto e per tutto identica al buon Veidt, essendo sua figlia; il corredo genetico, però, non è sufficiente a rendere la donna all’altezza delle paterne capacità, destinandola così ad una miserabile fine.
Veidt, al contrario, riesce a reinventarsi e, seppur con alcuni escamotage ai limiti del tragicomico (come la famigerata pioggia di gamberi), porta a termine un piano a dir poco perfetto. L’interpretazione di Jeremy Irons – giudicata da alcuni telespettatori forse troppo grottesca – rende giustizia ad un personaggio affascinante e complicato come Ozymandias anche quando, in occasione di scene ad alto tasso tensivo, risponde alle provocazioni con ilari suoni corporali. Onore al merito di un attore che ha messo, ancora una volta, le sue innate capacità artistiche al servizio di un bene più grande.
Opera unica
La serata di ieri ha regalato agli spettatori di “Watchmen” un epilogo dal sapore agrodolce. L’ultimo episodio (andato in onda sul canale Sky Atlantic) ha lasciato uno spiraglio aperto, tutto concentrato in un frame finale che vede Angela Abar provare a camminare sulle acque, come il suo bluastro consorte. Una conclusione incerta, che però non sembra dar spazio necessariamente ad una seconda stagione, come ammesso dallo stesso ideatore della serie, a più riprese. “Se avessi intenzione di fare un’altra stagione di “Watchmen”, avrei bisogno di avere un’idea davvero interessante e di una giustificazione per farla – ha ammesso Damon Lindelof in una recente intervista – Al momento non ho nessuna delle due. Ma non vuol dire che non verranno in futuro. Ho concluso lo show appena quattro settimane fa. La mia antenna è in funzione, soltanto che adesso è statica. Non posso dire che non ci sarà sicuramente una seconda stagione così come non posso dire che ci sarà sicuramente“.
La domanda che però ogni fan si pone è: “Abbiamo davvero bisogno di un capitolo due?“. La storia della serialità televisiva ha insegnato, spesso e malvolentieri, che insistere su un franchise forti di un debutto entusiasmante non sempre si è rivelata una scelta vincente. Forse sarebbe meglio considerare il “Watchmen” di Lindelof una buona, ed unica, opera prima.