E’ stata a furor di popolo considerata una delle pagine più oscure e tristi non solo della sanità calabrese, ma dell’intero sistema sanitario italiano. Nessuno ha dimenticato la drammatica vicenda che ha visto suo malgrado protagonista la piccola Cloe Grano, una bimba di nemmeno cinque mesi compiuti morta nell’aprile del 2014 a causa di quello che potremmo definire un evidente e scioccante caso di malasanità.
La cronaca
Nell’aprile di cinque anni fa i genitori della bimba, Edyta e Dino Grano, si recano presso il nosocomio cosentino perché la loro bimba accusa degli evidenti disturbi gastro-intestinali. Giunti al Pronto Soccorso, i neo-genitori vengono rassicurati dai sanitari: “Sta girando un virus intestinale“, dicono al padre della bimba prima di congedarlo. I sintomi, però, peggiorano, e Cloe viene nuovamente riportata al Pronto Soccorso. I medici, visibilmente seccati, danno poca corda ai Grano, rei di essere genitori “freschi” e, dunque, troppo apprensivi. Un’agonia, quella della bimba, che dura ben quattro giorni, sino a quando Cloe non entra in stato di shock e viene trasferita d’urgenza al “Santobono” Napoli, dove i medici tentano l’impossibile per salvarla. Nonostante l’intervento d’urgenza che riesce a salvare i suoi piccoli organi, Cloe non si risveglierà più. Il danno cerebrale è oramai irreparabile e da quel drammatico giorno per i coniugi Grano, genitori di un’altra bimba, Desirè, è iniziata un’odissea che li ha visti addirittura additati come colpevoli per non aver saputo gestire la situazione dalla propria abitazione. Eppure, il caso è stato chiaro sin da subito agli specialisti napoletani: Cloe Grano è morta a causa di una invaginazione intestinale, patologia che si sarebbe potuta risolvere persino con l’utilizzo di una semplice peretta, se diagnosticata in tempo.
La svolta
Del caso della piccola Cloe si era occupata anche la redazione della trasmissione Mediaset “Le Iene“, che aveva raccolto le dichiarazioni non solo del padre della bimba deceduta, ma anche dei sanitari dell’ospedale di Cosenza e dei colleghi partenopei. “Io li caccerei e li sospenderei affinché non capiti ad altri – aveva dichiarato visibilmente scosso un medico del “Santobono” – Caccerei loro e chi li ha messi lì… Questo è omicidio colposo e questi medici dovrebbero fare altro, stare dietro alle scrivanie e non visitare pazienti“.
Una dichiarazione al vetriolo che ha trovato ragion d’essere mercoledì 3 luglio, quando i legali della famiglia Grano, Nicodemo Gentile e Antonio Cozza, hanno parlato di una svolta clamorosa nel caso della bimba deceduta a causa, molto probabilmente, dell’incuria dei sanitari dell’ospedale cosentino “Annunziata“.
Nel corso di uno dei processi penali proprio nei riguardi dei medici che ebbero in cura la piccola nel nosocomio calabrese, è emersa una importante testimonianza. Una teste “confermando quanto presente nel diario clinico circa l’effettuazione di una ecografia, di cui però non si è mai trovata traccia, ha riferito non solo che l’esame è stato effettivamente eseguito, ma ha fornito anche le generalità del medico che vi ha dato corso. La medesima circostanza – continuano i legali dei Grano – per la verità era stata già riferita da un altro medico“. La stessa testimone ha oltretutto “evidenziato un’altra circostanza, vale a dire che i sanitari omisero volutamente non solo di refertare l’ecografia, ma anche di indicare nel referto della tac, eseguita subito dopo, la patologia che era emersa all’esito di tali esami“.
Dettagli sconvolgenti che, se confermati, cambierebbero notevolmente le carte in tavola per quei medici che, non senza sgomento e polemiche, erano stati “graziati” in un primo tempo dalla legge italiana e che potrebbe restituire a Edyta e Dino Grano un po’ di quella giustizia a lungo cercata nel nome di Cloe. “Ho sempre pensato che qualcosa di gravissimo era successo – ha spiegato proprio Dino, dopo aver ricevuto queste incoraggianti novità – Per questo non mi sono mai arreso, anche quando venivo additato come visionario. La verità finalmente sta emergendo e chi ha sbagliato deve pagare“.