Come ormai avviene da tanti anni, si rinnova l’appuntamento con una delle pagine più dolorose e, nel contempo, più esaltanti della storia della nostra città: i Moti del 1970 – lo afferma Giuseppe Agliano, Presidente del “Comitato 14 luglio” – Se per alcuni la memoria inizia ormai a sbiadire, molti altri al contrario sono ancora sensibili alle emozioni di quei giorni e non solo sono pronti a ricordare e testimoniare quanto accadde, ma intendono anche sottolineare, ancora una volta, i motivi che portarono a quella Rivolta di Popolo. Risalire alle origini di quella sommossa, guardare cosa è cambiato dalla realtà di allora, è il modo ideale per comprendere i sentimenti e la rabbia di quei giorni. Si tratta di un periodo storico che bisogna considerare come un valore per l’intera comunità reggina, da trasmettere alle nuove generazioni come esempio di una reazione dignitosa da parte della città ad un grave torto subito.
Il 14 Luglio 1970 è stato il giorno dell’inizio della Rivolta, il giorno di chi credeva e continua a credere nelle proprie radici, nell’amore per la propria terra, nella speranza di poter offrire un futuro ai propri figli, nel rispetto della dignità della propria comunità, nella lealtà della politica. Nel corso di quella giornata, il Sindaco Piero Battaglia tenne un discorso in piazza Italia, affiancato dal consigliere comunale del M.S.I. Fortunato Aloi – erano passati nove giorni dal famoso “rapporto alla città”, in cui lo stesso Sindaco si pose contro il suo partito di appartenenza per la scelta operata contro Reggio e, soprattutto, a 24 ore dalla prima riunione a Catanzaro, del neonato Consiglio regionale – da lì a poco, alcuni giovani vennero arrestati dalla polizia con l’accusa di aver bloccato la fruibilità della Stazione Lido. Fu la scintilla che fece scoppiare la Rivolta. Sarà un’escalation che vedrà il proliferare delle “barricate” sul Corso, in via Marina, al rione Sbarre, nel quartiere di Santa Caterina. Tutto ciò finirà molti mesi dopo, a seguito di un massiccio intervento repressivo da parte del Governo con l’invio di carabinieri, poliziotti e reparti dell’esercito, culminato con il triste e vergognoso ingresso in città dei carri armati, unico episodio del genere in Italia in tempo di pace. Il bilancio fu drammatico: 5 morti, centinaia di feriti, migliaia di arrestati, danni incalcolabili e, soprattutto, la condanna per Reggio all’isolamento per diversi decenni, che neppure il fantomatico e fallimentare “pacchetto Colombo”, riservato dallo Stato come forma di compensazione, riuscì a risollevarne le sorti.
Tuttavia, attraverso memorabili battaglie, gli uomini migliori che Reggio potesse esprimere al tempo, per citarne alcuni: Ciccio Franco, Nino Tripodi, Raffaele Valensise, Giuseppe Reale, Vico Ligato e lo stesso Battaglia, con tenacia e duri confronti, riuscirono a “strappare” alcune importanti istituzioni, tra le quali la Corte d’Appello, l’Università, la sede del Consiglio regionale, l’Università per Stranieri.Solo 40 anni dopo – sottolinea Agliano – Reggio ha avuto il giusto, seppur tardivo, indennizzo con il riconoscimento del ruolo di Città metropolitana, grazie all’intuizione, alla lungimiranza e ai buoni uffici del Sindaco del tempo Giuseppe Scopelliti. Anche se questa grande conquista risulta ancora monca e, al riguardo, si dovrebbe pungolare l’attuale classe politica affinché tramite le prerogative della Città Metropolitana si possa staccare Reggio da quel cordone che la lega alla politica Regionale e agire operativamente e definitivamente sulla base di quanto era nelle intenzioni di chi ha ottenuto la realizzazione di un progetto che potrebbe rappresentare un enorme salto di qualità per la città, sia in termini strategici che economici.
Ma questo del 14 luglio – Come detto, ribadisce il Presidente del Comitato – è un impegno che si rinnova anche per le nuove generazioni che, per motivi anagrafici non presero parte alla Rivolta ma che da essa devono trarne spunto per ridare alla Reggio addormentata, che non si accorge in quale triste degrado è caduta, il ruolo centrale che aveva conquistato negli anni appena trascorsi. Quel tentativo di rilancio e di rinnovamento, che fa capo a quella evoluzione, che la città di Reggio stava registrando prima dello scioglimento “per contiguità mafiosa”, che ha portato al commissariamento che, universalmente ormai, viene riconosciuto come ingiusto e illegittimo e che, quella esperienza “qualcuno” ha voluto sia stata interrotta con un’operazione chirurgica dettata da “altri interessi” e da una disinformazione che ha portato la cittadinanza a perdere la sua identità unitaria e a vivere una divisione interna, una lotta fratricida, che contrasta con quell’unità dimostrata nella stagione del 1970/71.
Sulla Rivolta si è detto tanto e scritto forse ancora di più; solo il tempo, un reale approfondimento storico ed una discussione scevra da condizionamenti ideologici, potrà restituire ai reggini “l’anima” che la ispirò e che ne guidò le scelte ed i comportamenti, pur antidemocratici e anti-sistema, ma unicamente nella direzione della protesta di un Popolo che non ha accettato supinamente le decisioni di una classe politica staccata dalla realtà, che stava perpetrando una palese ingiustizia e che non riconosceva più nel Popolo stesso la sua più intima essenza. Su una cosa, pertanto, non è lecito discutere: la buona fede dei reggini di allora, pari soltanto all’esasperazione per un passato da dimenticare ed all’angoscia per un futuro che si presentava come un lungo tunnel buio. Leggere di accostamenti, di partecipazioni e di interessi della ‘ndrangheta e dell’eversione rossa e nera durante quella stagione è come uccidere di nuovo le 5 vittime, risentire ancora le urla di dolore dei feriti e dei mutilati, ricacciare la città nel vortice negativo della disinformazione pilotata.
SULLE BARRICATE DI REGGIO C’ERANO SOLO I REGGINI, CHE TIRAVANO PIETRE E AL MASSIMO QUALCHE MOLOTOV, LE MANGANELLATE LE PRESERO LORO E IN GALERA CI SONO FINITI LORO, A CENTINAIA, INSIEME A CICCIO FRANCO, MEDURI, MATACENA, MAURO, CALAFIORE, PERNA, E NON ‘NDRANGHETISTI O ESTREMISTI VARI.
Le celebrazioni per il 50° anniversario del prossimo anno – conclude Giuseppe Agliano – potranno e dovranno essere l’occasione, così come è stato 10 anni fa, per ribadire tutto questo e rinverdire quelle pagine di storia della nostra città, ancora poco conosciute ai più, in direzione della reale verità storica. Per questo, abbiamo scritto al Sindaco per chiedere la costituzione di un Comitato civico che sia promotore e sovraintenda a tutte le varie iniziative che saranno organizzate, e per far sì che, dopo 50 anni, i “Moti di Reggio” diventino finalmente patrimonio storico e morale di tutti i reggini e dell’Italia intera.
Domenica alle 11, quindi, unitamente alle Istituzioni, alle Associazioni, ai Movimenti, ai Partiti, ai parenti delle vittime e ai cittadini, saremo al Monumento che ricorda quelle giornate – sito in una aiuola del lungomare Falcomatà, all’altezza di Palazzo S. Giorgio – non solo per ribadire tutto ciò, ma soprattutto per ricordare chi ha sofferto le ferite, il carcere, l’ostracismo ma, soprattutto, per rendere omaggio alle cinque vittime di quella Rivolta con la deposizione di una corona floreale a nome della città: il ferroviere Bruno Labate, trovato agonizzante il 15 luglio 1970 in via Logoteta; il poliziotto Vincenzo Curigliano, colto da infarto il 18 luglio, durante l’assalto alla questura; l’autista di autobus Angelo Campanella, morto sul ponte Calopinace il 17 settembre dello stesso anno, per un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia; l’agente della Celere Antonio Bellotti, colpito al capo il 12 gennaio 1971, nel corso di una sassaiola contro il treno che lo riportava in sede insieme al suo reparto; il barista Carmine Iaconis, morto per un colpo di arma da fuoco il 17 settembre 1971, quasi nello stesso punto e nello stesso giorno in cui morì Campanella, in tasca gli fu trovata la ricevuta della prenotazione della sala ricevimenti presso la quale, pochi giorni dopo il 10 ottobre, avrebbe dovuto festeggiare il suo matrimonio. Oggi, a testimonianza del fatto che un evento tragico e doloroso, possa essere anche viatico per una speranza, le famiglie Iaconis e Campanella sono unite da una felice circostanza: Carmine Iaconis, nipote omonimo del Martire e Alessandra Coppola, nipote di Campanella, sono marito e moglie.
Il Presidente
Giuseppe Agliano