Martedì 25 giugno, alle 17.30, presso il Palazzo della Città Metropolitana “Corrado Alvaro” Monsignor Giacomo D’Anna, parroco del Santuario di San Paolo alla Rotonda in Reggio Calabria, ha presentato il suo ultimo libro “Una voce da dentro. L’esperienza di una presenza in carcere“, pubblicazione da lui curata dopo 14 anni di servizio come cappellano della Casa Circondariale di Reggio Calabria.
All’importante evento hanno partecipato tre arcivescovi della Calabria, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro– Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabra, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo metropolita di Reggio Calabria–Bova e monsignor Vittorio Mondello, arcivescovo emerito di Reggio Calabria – Bova. Il volume di monsignor D’Anna è stato presentato da Rosario Tortorella, Provveditore Vicario dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria. Monsignor Bertolone, nel contesto della stessa manifestazione, ha tenuto una conferenza dal titolo “L’enigma della zizzania, il metodo Don Puglisi di fronte alle mafie”. Sono intervenuti anche il presidente del Consiglio Regionale, Nicola Irto; il sindaco della Città metropolitana, Giuseppe Falcomatà; il direttore del carcere di Reggio Calabria, Calogero Tessitore, e il Garante dei diritti dei detenuti, Agostino Siviglia, i quali hanno dato qualità all’importante evento di cultura, mettendo in risalto attraverso un’analisi meticolosa e schietta diversi spaccati e le poliedriche sfaccettature della pluriennale esperienza vissuta da un commosso Mons, D’Anna, che per l’occasione ha riunito realtà diverse in una sala gremita regalando ai presenti, nella umiltà che lo ha sempre contraddistinto, momenti di esperienza di vita e genuina cultura a trecentosessanta gradi, incorniciata da una realtà religiosa e sociale che ha calamitato sino alla conclusione dell’evento una platea consapevole ed attenta.
Il periodo del mandato, durato dal 2004 al 2018, “ ha rappresentato per me un’esperienza molto forte, che ha segnato la mia vita prima come uomo e poi come sacerdote” ha detto il prete reggino che da pochi giorni ha concluso la sua esperienza da cappellano del carcere di San Pietro. Dalle pagine del suo libro, è venuta fuori l’operare di una chiesa consapevole che si fa <<prossimo alle persone che soffrono>> facendosi portatrice, attraverso la figura del cappellano, di redenzione spirituale e morale per far sì che, uscendo dal luogo di pena, chi ha vissuto quei momenti tristi, lontano soprattutto dagli affetti familiari, diventi un uomo migliore. Per tutti, don Giacomo, nella sua ultima fatica letteraria, ha definito il cappellano “ una bella figura”. “I cappellani”, ha detto, sono veri: non si tratta di canonici delle Cattedrali, ma di poveri preti che se potessero, “prenderebbero il posto di ciascuno per liberare le celle e incarcerarsi per sempre”. Un cappellano “si pone accanto”: riscatto e conversione sono le parole-chiave per condurre ogni uomo o donna recluso a recuperare la propria dignità. Un’esperienza durante la quale ha avuto tanto dai detenuti, considerati << lo scarto della società>> quasi dei mostri, delle belve. “Ci sono tante miserie umane, tante debolezze, tante fragilità ed in mezzo tanti errori, tanti difetti, tanti peccati, però c’è anche la redenzione e la fede nel credere che tutto può cambiare, soprattutto se c’è l’amore”, ha sottolineato Mons. D’Anna.
Ed è “una sfida sull’amore che l’esperienza del cappellano cerca di portare avanti in nome di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità. Anche nell’ambiente carcerario, don Giacomo, quasi con una sorta di “segreto” – che poi segreto non è, basta guardarlo in quegli occhi pieni di religiosa devozione a Dio – è sempre riuscito a strappare un sorriso a tutti. A tal proposito, ha citato Mons. Bertolone, che ha coniato un metodo di risposta alla mafia: “il metodo Puglisi”, il beato ucciso da Cosa Nostra nel 1993 che, nell’esalare l’ultimo respiro, ha risposto ai suoi carnefici con un sorriso, ha aggiunto don Giacomo. Aiutare un recluso a recuperare la propria identità e dignità, significa mettersi accanto – tu ti fai “cum panis” – “sono qui con te a camminare sulla strada giusta dell’amore”, alla quale si affianca l’opera del volontariato senza il quale, ha aggiunto mons. D’Anna, non avrei potuto fare nulla. E’ tutta gente che crede in quello che fa, che crede unicamente nella dignità dell’uomo, unitamente a quello “stare con quello spirito di gratuità” di chi vuole il bene del fratello, anche se sa che ha sbagliato credendo fermamente, ha concluso, che “prevenire è meglio che curare”.