Viviamo in una società globalizzata, lo sappiamo. In un mondo che corre sempre più veloce, tra innovazioni tecnologiche e notizie profuse a raffica da numerosi organi di informazione, rete e televisione diventano il mezzo per rimanere connessi ai diversi Continenti, avvicinando popoli lontanissimi in un abbraccio virtuale, forse troppo stretto.
Succede quindi che ogni genere di notizia, dal “becero” gossip alla cronaca più nera diventi di dominio pubblico e venga vivisezionata non solo da giornalisti ed esperti in materia, ma anche dal comune cittadino, che grazie alla visione di servizi sensazionalistici e contenitori tematici riesce a farsi un’idea propria sulla vicenda, rimanendo aggrappato alle proprie convinzioni.
Questa sensazione, però, non dura a lungo. Non esistono certezze, specialmente quando si parla di sparizioni, faide malavitose, delitti. Nelle scorse settimane abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione di idee riguardo ad alcuni dei casi più efferati di cronaca nera del nostro Paese. Le nostre certezze sul famigerato delitto di Erba, per esempio, sono state lentamente sgretolate dai servizi choc di Antonino Monteleone de “Le Iene”; abbiamo gridato allo sdegno e alla vergogna di fronte alle terribili immagini di delinquenza costate la vita ad un povero pensionato a Manduria; abbiamo provato disgusto di fronte alla notizia a dir poco allucinante apparsa nelle scorse ore che vorrebbe Amanda “foxy Knoxy” Knox ospite d’onore alla prima edizione del Festival della Giustizia Penale.
Una delle storie “gialle” più sentite dall’intera popolazione italiana è senza dubbio quella di Marco Vannini, ventenne dal viso pulito e dai grandi sogni ucciso in circostanze, per così dire anomale, il 17 maggio 2015. Tra una settimana saranno trascorsi ben 4 anni da quando il ragazzo trovò la sua fine per mano (almeno secondo la giustizia italiana) di Antonio Ciontoli, padre dell’allora fidanzata di Marco e in forze ai Servizi Segreti, condannato ad appena cinque anni per un delitto tanto emblematico quanto assurdo. Il caso Vannini, emerso grazie al certosino lavoro della troupe di “Chi l’ha visto?“, è immediatamente “esploso” da un punto di vista mediatico, grazie all’interessamento di riviste specializzate, di quotidiani e di programmi di inchiesta.
Un’inchiesta, quella della morte di Marco, che si è dipanata non solo tra commissariati ed aule di tribunale, ma anche dietro e davanti le telecamere, con la consueta sfilata di criminologi, esperti, periti, avvocati e testimoni dall’attendibilità non sempre comprovata. Ultimo, in ordine di tempo, è stato Davide Vannicola, amico di vecchia data del maresciallo Roberto Izzo, senza dubbio uno degli “attanti” più ambigui e contorti di tutta la storia. Secondo Vannicola, intervistato da Giulio Golia de “Le Iene“, Izzo vivrebbe da quasi 4 anni con un terribile segreto: ad uccidere Marco con un colpo di pistola non sarebbe stato il Ciontoli padre, bensì il figlio Federico, ex allievo della “Nunziatella” di Napoli, la cui posizione è, tutto sommato, ben lontana dall’essere granitica.
Nella scorsa puntata di “Chi l’ha visto?” infatti, è stato mostrato un video, girato all’interno della caserma nella quale si sono svolti gli interrogatori all’intera famiglia Ciontoli e alla fidanzata di Federico, Viola, nel quale vengono immortalati Martina e Federico intenti a controllare le notizie riguardanti il decesso del povero Marco sui social network e a commentare i vari post neanche si trattasse di un mero articolo di cronaca rosa. Una mancanza di rispetto imperdonabile nei riguardi di Valerio e Marina Vannini, i genitori del povero Marco, la cui ferita per la perdita del figlio viene costantemente riaperta da conferenze stampa di avvocati difensori dal piglio leggermente arrogante, da post “solidali” all’indirizzo di Martina, addirittura dall’apertura di un portale web dedicato al caso Vannini che mira a riabilitare Antonio Ciontoli dal titolo – incredibile, ma vero – “Il giusto processo“.
Navigando all’interno di questo portale colpiscono le voci al menù “Fake News” e “Minacce varie“, quasi come se le vittime di questa situazione, ferite e calunniate, fossero proprio Ciontoli e la sua famiglia. Ancora più assurdo è stato il post Facebook di Roberta Petrelluzzi, conduttrice al timone di “Un giorno in Pretura” in onda su Rai Tre che aveva inaugurato la nuova stagione proprio sviscerando il delitto Marco Vannini. “Cara Martina Ciontoli – scrive la donna – ti vogliamo far sapere che siamo assolutamente in disaccordo con questo accanimento mediatico che, non si capisce perché, vorrebbe la vostra morte civile. E’ un segno dei miseri tempi che stiamo vivendo, dove l’odio e il rancore prendono il sopravvento su qualsiasi altro sentimento. Ci auguriamo che il nostro lavoro riesca a riportare la tragedia vissuta (perché tragedia è) alle sue reali dimensioni“. Una lettera di solidarietà indigesta per la maggior parte dell’opinione pubblica, considerando anche che per una buona fetta del pubblico che guarda la TV potrebbe essersi trattato di una mossa pubblicitaria assolutamente fuori luogo per lanciare il programma.
A nulla è valsa la rettifica, o meglio la spiegazione, della Petrelluzzi, che al Corriere della Sera aveva dichiarato: “Credo che ormai non siamo più abituati a cercare il perché, ma siamo abituati a tifare. O fai parte della curva sud, o fai parte della curva nord. Quando tifi non cerchi le ragioni, ma perché puoi essere contro. Si fanno petizioni affinché la ragazza venga cancellata dall’Ordine degli Infermieri e non possa più lavorare. Vi sembra possibile? Questa cosa mi indigna“. Il resto dello Stivale, invece, più che indignarsi per la “persecuzione” alla “povera” Martina o al “povero” fratello di lei Federico, è scandalizzata dal trattamento “soft” riservato ad un intero nucleo familiare che ora invoca un ulteriore “addolcimento” di una pena a dir poco ridicola. Perché – è dovere di cronaca ricordarlo sempre – in una casa in quel di Ladispoli, abitata da una famiglia apparentemente come tante, è morto un ragazzo di belle speranze. Si chiamava Marco Vannini. E’ lui e solo lui la vera vittima di questa storia. E ben venga l’accanimento mediatico, se restituirà la verità processuale e non solo ai genitori coraggio Marina e Valerio.