Immagini di Raffaella De Grazia
Truculenti, esaltati o semplici devoti? Da qualsiasi punto di vista li si osservi, i Vattienti di Nocera Terinese (Cz) sortiscono sempre l’effetto di scombussolare il sentire comune attraverso un rito antichissimo e oscuro, adattato alla rievocazione estrema della Passione di Cristo, e mettere le persone (credenti o meno) nelle condizioni di domandarsi quale sia il reale significato di tutto questo martoriarsi le carni e inondare letteralmente di sangue le strade e i vicoli di questo (bel) paese arroccato tra le colline affacciate sul Tirreno lametino.
Stupidi e masochisti? Niente di tutto questo: i vattienti, semplicemente, si tramandano da generazioni un qualche voto disperso nei meandri della memoria, ma continuano a compierlo per “dovere” familiare. Vestiti di nero perchè in lutto per la morte di Gesù, essi si materializzano il Sabato Santo appena comincia a snodarsi per il centro storico di Nocera la silenziosa processione dell’Addolorata, cominciano a percuotersi le gambe nude con due pezzi di sughero, la “rosa” e il “cardo” (quest’ultimo dotato di 13 punte acuminate che simboleggiano Cristo e gli apostoli) e lasciano dappertutto tracce ematiche del loro passaggio, sul selciato, i gradini delle chiese, i marciapiedi e persino sulle porte delle abitazioni: il lutto è collettivo, l’umanità piange la morte di Cristo prima di ritrovare la speranza con la Resurrezione, e il sangue sgorga da ogni dove (non solo dalle gambe dei penitenti) a ricordare l’immane tragedia. Sdoppiati nell’Ecce Homo (la figura, ricoperta di un manto rosso scarlatto, che li segue durante il loro percorso legata ad essi tramite una cordicella), essi diventano l’emanazione stessa del dolore provato da Gesù lungo la via Crucis riflettendosi reciprocamente come in un gioco di specchi infinito ogni volta che si incrociano tra le stradine di Nocera, complementari l’uno con l’altro.
Chiaramente non per tutti i gusti, ma non per questo privo di un macabro (a suo modo) fascino, il rito dei Vattienti ha calamitato gradualmente nei decenni l’interesse di artisti, intellettuali ed antropologi, che si sono interrogati non tanto sul significato simbolico del loro agire quanto sulle oscure origini di quest’ultimo (retaggio dei riti dionisiaci magnogreci? Uno scampolo medievale? Un ideale ponte tra paganesimo e cristianesimo? Semplice superstizione priva di logica?). Forse una spiegazione non si troverà mai, ma questo rituale ci ricorda, in fondo, che la devozione non può certo avere sempre una spiegazione razionale, quindi ci troviamo semplicemente davanti ad un aspetto culturale da amare oppure odiare. In entrambi i casi, alla follia.