E’ stata una Festa del Papà amara quella che ha dovuto trascorrere il signor Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo. Lorenzo era un 33enne come tanti, che ha però abbandonato la sicurezza di un lavoro stabile e di una vita “qualunque” in Italia in nome di un ideale ben più alto: combattere in Siria, al fianco del popolo curdo tentando di arrestare, seppur parzialmente, la temibile “volata” dell’Isis.
E’ proprio in Siria (precisamente a Baghuz) che Lorenzo Orsetti ha trovato una fine dolorosa e piuttosto controversa: il giovane è caduto vittima di un’imboscata, etichettato pomposamente dai suoi aguzzini come il “crociato italiano“. Aveva un nome di battaglia, il “crociato” dei Curdi: “Heval Tekosher“, “il Lottatore” e combatteva tra le fila delle milizie curde Ypg, legate a doppio filo al Pkk turco. Lorenzo verrà probabilmente sepolto in Siria, secondo le sue volontà; il suo testamento ideologico naviga tra i più blasonati social network, condiviso in maniera spasmodica dagli internauti, ma forse non ampiamente compreso.

Luci e ombre

Fin qui abbiamo riportato semplicemente la nuda e cruda cronaca dei fatti che hanno portato al drammatico decesso del 33enne Lorenzo Orsetti. Prima di lui, un altro italiano era andato incontro al suo tragico destino in nome di una battaglia della quale continuiamo a chiederci: ci appartiene davvero? Lo scorso 7 dicembre è toccato al bergamasco Giovanni Francesco Asperti (51 anni) perdere la vita mentre combatteva l’estremismo islamico, che tanto dolore ha portato e ancora porta in tutto il mondo, dalla Francia alla Siria, dal Regno Unito agli Stati Uniti. Non in Italia, però: la nostra Nazione, “graziata” da attacchi diretti di esaltati fondamentalisti, è stata però ugualmente ferita. Diversi sono stati, infatti, i nostri connazionali rimasti a terra nei vari, sanguinosi attacchi al cuore dell’Occidente. Vere e proprie aggressioni alla libertà e all’orgoglio del nostro Bel Paese, nel quale molti militanti dell’Isis trovano facilmente rifugio, con buona pace di un’Intelligence – quella nostrana, ma anche quella europea – che non pare svolgere così bene il proprio lavoro. Bastano queste premesse a giustificare il dilagare di un fenomeno – l’adesione a milizie straniere – che se da un lato può essere ritenuto intento nobile, dall’altro assume i contorni di una missione suicida? Come sempre in questi casi, le fazioni del pro e del contro si dividono portando in alto le proprie opinioni, talvolta utilizzando toni aspri ed ingiustificabili. Così come accadde nel caso dell’attentato a Nassiriya di quel maledetto 12 novembre 2003 (i media parlarono in quel caso di missione di pace; ma si può portare la pace in un Paese flagellato da conflitti – che non risparmiano neanche i bambini – imbracciando ogni sorta di arma?), la popolazione italiana si è suddivisa tra coloro che hanno inneggiato ad Orsetti come ad una sorta di eroe romantico dei nostri tempi e quelli che hanno sentenziato, in tono serafico: “Se l’è cercata“.

I paradossi

La verità, però, potrebbe risiedere nel mezzo. In questi ultimi anni, l’Italia sta vivendo una sorta di paradosso: i ragazzi che scelgono di dedicarsi anima e corpo alla carriera militare sono sempre meno; le nostre forze dell’ordine, a volte anche protagoniste di abominevoli abusi di potere, sono prese di mira nel corso di manifestazioni all’apparenza pacifiche, ma che sfociano inevitabilmente in violente risse. In un clima di totale diffidenza nei riguardi di chiunque porti una divisa, un gruppo di baldi giovani e meno giovani, spesso appartenenti a frange politiche più “estremiste”, anarchici o, come nel caso di Lorenzo Orsetti, “libertari“, scelgono di andare a combattere oltre i confini tricolore in nome di un principio o un’ideologia dai contorni sempre più sfocati. Ad attenderli in patria non troveranno onori e gloria ma, come spiegato dal “crociato” Davide Grasso, una misura preventiva pensata per i foreign fighters pro-Isis. “Non siamo imputati per alcun reato. Siamo “proposti” per le misure di sorveglianza speciale. Non ci sarà una sentenza ma solo un decreto che ci verrà notificato entro 15 giorni dalla polizia – ha raccontato il combattente a Fanpage – Ci toglieranno il passaporto, la patente e dovremmo allontanarci dal luogo di residenza. Ma non solo: dovremmo rincasare obbligatoriamente alle 19 fino alle 7 del giorno dopo. Avremmo il divieto a riunirci con più di due persone, divieto di parlare in pubblico o partecipare ad iniziative politiche. Tutte misure che richiamano l’epoca fascista e che credevamo superate”. Una sentenza destinata a far discutere. Si tratta davvero di una misura “fascista” o, al contrario, di un mezzo lecito per arginare questo fenomeno? Scegliere da che parte stare, scegliere quale battaglia abbracciare, non è una scelta facile e spesso nasconde dei connotati politici non sempre ammirevoli. La morte di Lorenzo farà discutere ancora, sino a quando non troveremo un altro scottante argomento sul quale dividerci umanamente e politicamente. Il giovane combattente allora, finirà irrimediabilmente nel dimenticatoio, mentre i suoi compagni di ventura continueranno a combattere, a costo della propria vita, in nome di un ideale non sempre nobile e non sempre universale.

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