E’ luogo comune che il territorio della provincia di Reggio Calabria non abbia mai avuto un’attività industriale importante capace di assicurare lavoro e sviluppo al suo territorio. Questa è effettivamente la realtà attuale, ma non sempre è stato così perché, volgendo lo sguardo ad un passato non tanto lontano, ci sono esempi di importanti attività in diversi settori che raggiunsero un certo successo e poi furono lasciate, colpevolmente, morire. Perché, viene da chiedersi, lo Stato non ha mai pensato di subentrare nella loro gestione piuttosto che sprecare migliaia di miliardi di lire nel nulla prodotto nel secondo dopoguerra?
Il sito industriale di Marina di San Lorenzo (Rc), di proprietà privata, oggi denominato “ex fabbrica di pipe” iniziò la sua attività nel 1850 come centro per la produzione della calce. Le pietre venivano estratte poco più a monte e trasportate tramite teleferica presso il sito industriale, dove oltre ai fabbricati per la macinazione e la trasformazione delle pietre c’erano anche gli alloggi per il personale. Nel 1870 fu aggiunta una produzione di laterizi artigianali con una delle tecnologie più innovative per l’epoca: la fornace Hoffmann a fuoco continuo. Adesso la fornace è ridotta ad un rudere: rimangono la ciminiera, il canale e le camere di cottura. Dopo il primo conflitto mondiale, fu avviata la produzione del cemento ad opera della società “Cementerie Calabresi” e furono costruiti nuovi edifici: il cementificio, gli spogliatoi per gli operai e a un’area pilastrata. Il cementificio si articolava in una zona riservata agli uffici, mentre la restante porzione era dedicata all’istallazione dei macchinari (tagliatrice, carrello, ecc) con annessa centrale elettrica. La muratura era in mattoni, mentre la copertura costituita da capriate lignee con copertura in lastre di eternit. Nel 1932 il cementificio passò alla “Società Anonima Cementerie Consorziate Italiane”, SACCI, con sede a Firenze, ma nel 1934, dopo soli due anni, cessarono tutte le attività.
Arrivano le pipe
Nel 1952 la SACCI cedette la cava per l’estrazione del calcare a due distinti proprietari e alla fabbrica alla società ERIKA, che iniziarono la produzione di pipe. Vennero così aggiunti ulteriori edifici: la raffineria e il deposito di pipe, il deposito di laterizi e la casa patronale, edificio di rappresentanza dell’intero complesso. Il fabbricato, su un unico livello con protiro di ingresso, presentava una struttura muraria in mattoni, infissi in legno, copertura a falde con struttura in capriate a vista e manto di tegole. Nel 1960, nella porzione Est dell’area, unitamente alla ERIKA, trovò sede anche la società SILVA, impiantatrice di una fabbrica per la produzione di legname da costruzione; allo scopo vennero realizzati un deposito di legname e una segheria. L’alluvione del 1972 danneggiò notevolmente le strutture e le attività ebbero un grave arresto per poi chiudere definitivamente nel 1976.
Oggi il sito, in stato d’abbandono, non è più agibile e risulta immerso in una cospicua vegetazione spontanea con essenze arbustive e arboree peculiari della macchia mediterranea pre-dunale. La lunga incuria e l’assenza di manutenzione hanno determinato danni alle coperture e alle murature, determinando una condizione di estrema fragilità. Ciononostante, l’equilibrio statico dei fabbricati non sembra essere stato compromesso. Il complesso architettonico mantiene ancora intatte le caratteristiche tipologiche e formali originali e si presta pertanto ad un’appropriata azione di restauro e valorizzazione ad opera delle autorità preposte a tale scopo.