La scomparsa, ad 84 anni, dell’attore Paolo Villaggio ha lasciato non un vuoto, ma una voragine nella commedia italiana e nell’immaginario collettivo di chi ha saputo apprezzare ed amare negli anni il ragionier Ugo Fantozzi, un amore “mostruoso” (per dirla fantozzianamente) condiviso dall’intera popolazione del Bel Paese senza “se” e senza “ma”. E c’è da dire che questo affetto senza riserve è insolito per il pubblico italiano, molto più spesso propenso alla critica o all’esaltazione estemporanea seguita subito dopo dall’oblio. Per Villaggio, e per il suo ragioniere alter ego, tutto questo non è fortunatamente successo nonostante l’enorme quantità di acqua passata sotto i ponti in quarant’anni di cinema e commedia italiani e il rapido passaggio della comicità italica dalla maschera e il grottesco ai siparietti televisivi e i video spiritosi di Youtube; no, grazie a Dio Fantozzi è riuscito a sopravvivere, ha accompagnato diverse generazioni durante l’infanzia e l’adolescenza (che adesso lo rimpiangono amaramente, compreso il sottoscritto) ed ha saputo raccontare la nostra cara Italia meglio di tante altre, seppur belle, pellicole del cinema nazionale. Come artista, Villaggio ha saputo fare un ottimo lavoro creando personaggi che attingevano non dalla critica verso un costume sociale o un cambiamento epocale (come facevano molti negli anni Sessanta e Settanta segnati dal boom economico e poi dagli anni di piombo), ma direttamente dalla società stessa di quegli anni, che cercava di adeguarsi alle nuove regole e all’arrogante progresso che incalzava ed escludeva chi non ci stava. Ma Fantozzi, a mio modesto parere, è stato qualcosa di più: è forse l’ultima vera grande maschera della Commedia dell’Arte, l’unico personaggio in grado, come i vari Arlecchino e Pulcinella, di narrare in modo grottesco la nostra realtà quotidiana o, per meglio dire, le ingiustizie quotidiane; ed è anche per questo motivo che Villaggio nel 1992 fu insignito del Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia, la prima volta per un attore comico (e fece anche storcere il naso a molti, primo fra tutti Nino Manfredi), proprio per essere stato capace di creare non tanto un personaggio, ma il riflesso grottesco allo specchio della società italiana degli ultimi quarant’anni.
Fantozzi è in ciascuno di noi e tutti noi siamo Fantozzi: un assioma imprescindibile. Chi non ha mai pensato al povero ragioniere ogni volta che ha subito una qualche umiliazione o la maleducazione altrui? Molti magari diranno di no a primo acchito, avendo forse sempre pensato a Fantozzi come ad un vigliacco senz’arte nè parte, e allora perchè tutti amano i suoi film? Perchè Fantozzi è la massa, quella silenziosa costretta a dire sì nonostante la rabbia montante, quella poco considerata dalle autorità e dagli intellettuali di parte in quanto non serve a molto se non a produrre e a mandare avanti la burocrazia, quella piccola borghesia (oggi irrimediabilmente impoverita) perennemente disprezzata da tutti eppure ancora capace di emozionarsi e speranzosa di poter vivere felice. Fantozzi è il piccolo uomo che affronta la giungla urbana ogni giorno provando a combattere, ma sempre pronto a rialzarsi, una specie di Sisifo costretto a tornare sempre indietro e a ricominciare, magari aggirando qualche volta il problema stesso. Chi non si è mai comportato così? Fantozzi subisce sempre eppure è indistruttibile, ogni cosa che gli capita non lo ostacola e non lo fortifica nemmeno, gli scivola semplicemente addosso senza lasciare tracce e lo fa tornare di continuo al punto di partenza, mai sicuro di sè e neppure rassegnato, nè carne nè pesce, ma sempre vivo e pronto a sperimentare. Il ragioniere non è candido come Forrest Gump, ma neanche rabbioso e distruttivo come l’impiegato Sordi di “Un borghese piccolo piccolo“, è solo l’eroe del quotidiano che non prende iniziative, non si dà all’altruismo e neppure tenta qualche ribellione, e, se lo fa, viene immediatamente ridotto al silenzio; niente, deve continuare a vivere, bene o male, ma mai rassegnato. Proprio come tutti noi; un ottimo ritratto di Fantozzi è contenuto in una dichiarazione dello stesso Villaggio, riportate dal dizionario del cinema di Paolo Mereghetti: «Fantozzi, come la maggioranza dell’umanità, non ha talento e ne è pienamente consapevole. Non si batte nè per vincere nè per perdere, ma solo per sopravvivere; e così è indistruttibile. La gente lo vede, ci si riconosce, ne ride, si sente meglio e continua a comportarsi come Fantozzi».
Come Charlie Brown, ma con meno fisime, Fantozzi affronta diverse situazioni con convinzione cercando di raggiungere l’agognata felicità e uscendone sempre sconfitto, non perchè incapace, ma perchè il mondo vuole che lui rimanga al suo posto in un sadico gioco classista o delle parti, come in quei sogni in cui anche i desideri più profondi sono irrimediabilmente frustrati dal Super io che ci ricorda che la realtà ci aspetta inesorabilmente al risveglio. Non è un caso, infatti, che gli unici momenti in cui il ragioniere riuscirà a realizzare i propri sogni sono contenuti nel film “Fantozzi in Paradiso” (1993), in cui la paura della morte porterà Fantozzi a ribellarsi contro la società, finalmente e meritoriamente. E la frustrazione continua è alla base della comicità crudele e del grottesco presenti in tutte le pellicole della serie del ragioniere, girate tra il 1975 e il 2000, anzi quello che vediamo è filtrato dal punto di vista frustrato del protagonista: solo un frustrato può innamorarsi di una tardona patetica come la signorina Silvani (non ce ne voglia Anna Mazzamauro!) o vedere la propria famiglia in fattezze mostruose (la signora Pina e soprattutto la figlia Mariangela), anche se poi i familiari sono i soli esseri al mondo che credono in lui e sui quali Fantozzi riversa masochisticamente la cattiveria accumulata nel corso della giornata. Solo lui può continuare a mantenere rispetto e buona educazione anche davanti all’arroganza più becera o ad affrontare l’esistenza senza neppure un amico (nonostante la forte confidenza, quella tra Fantozzi e il geometra Filini non può essere considerata una vera amicizia, tra l’altro i due si tengono debitamente a distanza tramite il ricorso al “lei” e al linguaggio burocratico) oppure a vedere un collega antipatico come un odioso arrivista (Calboni) senza peraltro opporvisi mai con fermezza. Tutta la sua vita è una perenne burocrazia (come la nostra) stretta fra rapporti volutamente formali, un linguaggio artefatto (e che ha influito non poco sul lessico popolare italiano) e un’esistenza abitudinaria che ne accrescono ancora di più la frustrazione e la rabbia inespressa, che però non portano ad alcun cambiamento.
Insomma, buon viaggio Paolo e grazie per aver reso la nostra vita monotona meno “mostruosa”.
Alcune sequenze famose della saga di Fantozzi:
“Fantozzi” (1975): Il risveglio e l’autobus al volo
“Fantozzi” (1975): Il ristorante giapponese
“Fantozzi” (1975): La vacanza a Courmayeur
“Fantozzi” (1975): La statua della mamma di Catellani
“Fantozzi” (1975): Folagra e il megadirettore
“Il secondo tragico Fantozzi” (1976): Il varo della nave
“Il secondo tragico Fantozzi” (1976): La cena dalla contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare
“Il secondo tragico Fantozzi” (1976): La corazzata Kotiomkin
“Fantozzi contro tutti” (1980): La gara di ciclismo
“Fantozzi va in pensione” (1988): Le grotte di Postumia
“Fantozzi in paradiso” (1993): Le rivincite di Fantozzi
commento critico straordinario.Da vincitore di coppa campioni!Nessuna grande testata giornalistica ha così bene commentato la dipartita del nostro grande Fantocci!
La corazzata Potemkin non era poi solo una cagata pazzesca.Afferma in soli 70 minuti e in bianco e nero che il potere tutto controlla,ingloba.svuota la cultura specie quella della rivolta.W Ejzenstejn,Salce e Villaggio.