I dati dell’ultima ricerca Eurostat 2016 hanno evidenziato come la Calabria sia, purtroppo, la regione europea a più alta densità di disoccupazione giovanile, con una percentuale esorbitante di circa il 58,7%. La nostra regione è superata nel Vecchio Continente solo da due altre aree, “europee” unicamente per denominazione: le enclavi spagnole in Nordafrica, ossia Ceuta (69,1%) e Melilla (63,3%). Ma l’aspetto più irritante è stato vedere come nessuna personalità delle istituzioni abbia detto una sola parola, o aperto un dibattito, su un problema così grave che riguarda per giunta una zona Ue; neanche un accenno di discussione, come se tutto questo rientrasse nella normalità quotidiana. E i giovani calabresi sono costretti, sempre e comunque, ad emigrare altrove per veder migliorare la propria posizione professionale. E’ il grido d’allarme lanciato dall’associazione universitaria “New Deal” di Reggio Calabria e contenuto in un comunicato stampa, in cui i giovani componenti hanno criticato le autorità locali e nazionali per la loro indifferenza e invitandole al contempo a trovare una soluzione, portando inoltre avanti alcune proposte sull’individuazione di obiettivi specifici e di settori d’investimento da prediligere se si vuole davvero risollevare l’economia e la società calabresi.
Le proposte di “New Deal”
Secondo l’associazione, il lavoro dipendente, in tempo di crisi, non è un più un settore sicuro sul quale scommettere; sarebbe preferibile in questo senso l’attività d’impresa, che però potrebbe generare occupazione sicura solo se venissero posti degli obiettivi concreti e non finalizzati alla propaganda politica. Le autorità locali devono quindi aprirsi ai veri bisogni sociali dei giovani e indicare loro i settori su cui investire in sicurezza e i reali obiettivi. Un esempio? L’associazione propone di puntare su categorie lavorative importanti per favorire la Calabria, come il turismo e l’agricoltura, per poi dirigere l’attenzione verso il mondo digitale in modo da far diminuire la disoccupazione nel medio-lungo termine. E, per la richiesta di incentivi finalizzati all’apertura di aziende, la “New Deal” ipotizza una nuova politica al posto di quella, fallimentare, basata sui contributi a fondo perduto corredati da autofinanziamenti per l’avvio delle attività: la realizzazione di bandi, grazie ai quali viene prestato anche l’intero capitale necessario, corredato da sistemi previdenziali e fiscali per le aziende appena nate, ed una restituzione del capitale a tasso zero in un medio periodo. Le proposte ci sono, speriamo che qualcuno risponda.